Serve ancora fermarsi a guardare la luna, al giorno d’oggi? Una domanda al centro di “Mi fermo a guardare la luna”, il nuovo disco di Alan Wurzburger.
Sveglia, colazione (se si è fortunati), lavoro, cena, letto.
Questa è la vita di ogni giorno: un ciclo che scorre con inesorabile e incontrollata frenesia. È una maratona che non conosce fine, dove non è concesso alcun riposo ai corridori che, stremati, consumano ogni loro forza per raggiungere il traguardo. Uomini-macchine con l’acido lattico alle gambe e gli occhi spenti.
E in questo clima di esagitata immobilità, ha ancora senso fermarsi, stendersi su un prato, guardare le stelle? Probabilmente sì, e “Mi fermo a guardare la luna” di Alan Wurzburger racconta proprio questo.
L’album è composto da nove brani egregiamente arrangiati da Lino Cannavacciuolo. Sin dal primo pezzo, Stai tu sule, si percepisce la grande qualità del lavoro e la bravura dei musicisti: un connubio perfetto tra la voce graffiante del cantante e gli strumenti. Uno sposalizio consolidato in seguito anche dall’imitazione degli stessi strumenti da parte della voce: impeccabile maestria.
Anche i testi sono delle perle. Scritti prevalentemente in napoletano, rendono alla perfezione le sensazioni provate dall’autore. È la lingua più adatta per una musica che guarda agli spazi sconfinati, alla libertà dalle oppressioni quotidiane. Alla luna, per restare in tema.
Di quest’album si potrebbe dire così tanto che alla fine è meglio tacere. Le parole in questi casi servono a ben poco. L’unica cosa che resta da fare è staccare la spina da tutto ciò che si sta facendo, portare le cuffie migliori alle orecchie e lasciarsi andare. Godere della buona musica e nulla più.
L’unica cosa che resta da fare è fermarsi. Perché, alla fine, chi davvero resta immobile è colui che corre instancabilmente con gli occhi fissi sul traguardo, perdendo di vista il mondo che gli è accanto di un passo.