American Buffalo sbarca al Teatro Bellini di Napoli, con la regia di Marco D’Amore e un’aria americana che preannuncia mistero

Non si può cantare Tu vuò fa l’americano nella puteca di Don. Perché Don ama gli States. A tal punto da costruirsi una Little America nel suo negozio a Napoli. Una puteca dove si dice shit e non che cazzo, dove sono ammassati oggetti di tutti i tipi in una caotica armonia, dove trionfa una bandiera a stelle e strisce che è usata anche come tovaglia.

Questa è Napoli, ma sembra l’America. E forse lo è, nella testa di Don, che si guadagna da vivere vendendo cianfrusaglie al sapore d’oltreoceano. Che fa colazione con lo yogurt, il caffè e la birra. Che cerca di fare soldi col poker, con le amicizie giuste, con la furbizia.

La colazione gliela va a prendere uno di quelli che a Napoli si chiamano i guaglioni. Il guaglione della sua puteca: Roberto, Robbè, un ragazzo che cerca sempre qualcosa di soldi, che si tiene il resto della colazione e che ha le sue fisse, le sue ossessioni, perché è un ragazzo particolare, e forse per questo Don lo ha preso a lavorare. Proprio a lui.

Ma Don, a Roberto, non lo manda solo a prendere la colazione. Lo manda anche a pedinare il signore con la valigetta. Quel maledetto che qualche giorno prima è entrato nella puteca, ha visto una monetina americana con la testa di bufalo, un American Buffalo, e se l’è comprata per meno di 200 euro. Ma se l’ha pagata così assai è perché vale di più, secondo Don, e allora la missione è di riprendersela. A ogni costo. Perché nessuno si prende gioco di Don.

Ma è qua che interviene ‘o Professore. Lui, sporco, scombinato dentro e fuori, che entra nella puteca e inizia a parlare, e parlare, prima della sua donna che lo insulta, poi del poker della volta scorsa, e poi dei soldi. E se ci sono i soldi in mezzo, non c’è amicizia che tenga. Il colpo della monetina vuole farlo lui, e Roberto si deve togliere dalle scatole. Punto.

L’American Buffalo, questa maledetta monetina, diventa così il cuore della vicenda che stravolge l’ordinaria vita della puteca. Diventa lo specchio che ci ricorda che c’è sempre qualcuno che bluffa, ma che a volte non sappiamo neanche se è seduto al nostro tavolo. E ci fa domandare a noi stessi: cosa sei disposto a fare per qualcosa che vale?

Marco D’Amore è ‘o Professore, ma è anche regista dell’opera. Si sprecano le trovate dei titolisti, che cercano di fare il paragone al contrario con Gomorra. Ma che Marco reciti in Gomorra non ci interessa proprio: è su questo palcoscenico, con questo spettacolo, che conferma la buona qualità del suo lavoro. Con lui, Vincenzo Nemolato e Tonino Taiuti, Roberto e Don. Il primo, dopo Una commedia di errori con Punta Corsara, continua a dimostrarsi come uno dei più brillanti attori della nostra scena, e solo vederlo entrare è un piacere. Il secondo non ha bisogno di presentazioni, lasciamo che parlino gli applausi.

È di Maurizio De Giovanni la riscrittura che teletrasporta l’opera di Mamet da Chicago a Napoli. Uno degli scrittori più produttivi e in voga degli ultimi anni entra nel testo americano e lo rivolta alla ricerca di quella napoletanità tanto viva negli USA. Ottimo il risultato, per sommi capi, che ci regala un ambiente sospeso, mai tutto Napoli e mai tutto States.

Le scene di Carmine Guarino sono l’ultima cosa di cui è importante parlare. Ricreano una puteca così piena di oggetti che pagheremmo un biglietto per poterci scavare dentro alla ricerca di qualcosa. Hanno risvegliato i bambini che siamo. Fanno sognare.

Il Bellini, in occasione della prima, è pieno. Lo spettacolo sarà in scena tutte le sere fino a domenica 19 novembre, alle 21.00 in settimana e alle 18.00 per l’ultima replica. Per informazioni e biglietti, tutti i dettagli si trovano sul sito del teatro, www.teatrobellini.it. Il link porta direttamente alla pagina dedicata ad American Buffalo. Noi ci teniamo a segnalare un’intelligente e ottima riduzione per gli under 29 a 15 euro.

Andate a teatro. Fa bene alla vita.

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