Amicizia nei proverbi napoletani, tra lode e diffidenza

Coloro che eliminano dalla vita l’amicizia, eliminano il sole dal mondo. Le vere amicizie sono eterne.

Così si esprimeva Cicerone, il più grande oratore di tutti i tempi, nel suo De amicitia. Del resto nell’antichità il vincolo dell’amicizia doveva avere una notevole importanza. Prima ancora era stato Epicuro ad esaltarla, l’amicizia conduce alla felicità:

 …nel limite di tempo della vita la maggior sicurezza è data dall’amicizia. L’uomo onesto coltiva saggezza e amicizia, l’una è un bene mortale e l’altra immortale.

Voltaire, del resto, affermava che l’entusiasmo per l’amicizia è stato più sentito dai Greci e dagli Arabi che da noi, i racconti che quei popoli hanno immaginato sull’amicizia sono stupendi. Noi di simili non ne possederemmo, l’aridità ci contrassegna. Un secolo e mezzo più tardi, Benedetto Croce notava che all’amicizia si è ispirata la poesia con le diadi famose, particolarmente nell’antichità e nel medioevo [ma] nei tempi moderni, più complicati e più mobili, il culto dell’amicizia abbia minor luogo, e certo ha cambiato forme.

Ma all’alba dell’età moderna, un grande umanista e filologo, Erasmo da Rotterdam (1466-1536), nel suo Elogio alla follia (1509), rammentava che l’amicizia vale più di ogni altra cosa.

L’amicizia, un bene non meno necessario dell’aria, del fuoco, dell’acqua, tanto soave che se togli l’amicizia togli il sole; infine tanto nobile – ammesso che la cosa ci riguardi – che gli stessi filosofi non esitano a ricordarla fra i beni fondamentali.

L’amicizia è un tema che si fa spazio anche nella tradizione e nella storia dei proverbi napoletani, non sempre con finalità estimatorie. Dalle sponde dell’epicureismo, dell’antichità e dell’umanesimo di Erasmo alle rive della nostra storia il passo è breve, o almeno così vogliamo immaginarlo. Proverò a raccogliere, avvalendomi della mia esperienza nativa, della mia presenza e confidenza con la realtà popolare partenopea, una serie di proverbi napoletani riguardanti l’amicizia, che forse ancor oggi parlano alle nostre distratte esistenze.

N’amic fedel vale chiù e nu tesor.

In teoria dovrebbe essere così. Ma a Napoli nel corso dei secoli l’amicizia pare più una chimera, pochi si salvano, nemmeno i parenti sono esenti da colpe. Le uniche sicurezze? Se stessi e il denaro, il miglior amico dell’uomo.

Primm penza a te, po’ a li tuoie, po’ ‘a ch puoie.

Da una fonte letteraria come quella del Pentamerone di Basile ne ricaviamo una vera e propria miniera di modi di dire e di espressioni di classica napoletanità:

Meglio è marito purciello, ch’ammico mperatore, dove si vuole affermare la superiorità del legame familiare. Buone so l’ammice e li pariente, trista la casa dove non c’è niente. Neanche l’amicizia può laddove regna la miseria. Nel concreto meglio contare su sé stessi, gli amici son cosa buona solo in astratto.

I proverbi ci forniscono anche una sorta di pratico abc per identificare i requisiti di una vera amicizia. L’amico, quello vero, sincero, premuroso dura perfino dopo la morte. Nella stessa direzione anche un’altra dicitura che vede la veridicità di un amico solo se tale lo ha maturato e provato una lunga esperienza, qui il vincolo dell’amicizia viene stimato più di quello della parentela.

Lo buono amico dura porzì dopo’ la morte.
Amice e vino hann’ ‘a essere viecchie.
Amico pruvato vale cchiù ‘e ‘nu parentato.

Proverbi mettono in risalto anche i doveri richiesti all’amicizia, primo tra tutti la sincerità.

‘O parla’ chiaro è fatto pe’ ‘ll’ amice.
Cu’ ‘ll amice e lo’ cumpare s’hadda parlà chiaro.
Chi t’è amic te parla ‘nfaccia, chi no te parla arreto.

Raro, ma possibile, ma solo l’esperienza potrà attestare questa pratica. E, allora, talvolta, occorre stare in guardia. Vari sono i proverbi che in più forme ammoniscono a riguardo.

Chi se cunfida cu’ n’amic, se trova cu’ nu nemico.
Amico cu’ tutte, cunfidenzia cu’ nisciun.

Ma allo stesso modo se ci si tiene davvero ad un’amicizia, buon uso sarebbe sia quello di accettare o quantomeno tollerare i vizi e i difetti altrui, ama l’amico co lo vizio sujo, sia quello di non offrire agli amici l’occasione di mettere in mostra la possibilità di nuocerci, infatti nun ghi’ a spugliarte arret’ a la lanterna, ca ‘o meglio amico tuje t’arrobba ‘e panne.
L’amicizia vera, stando stavolta ad un’altra fonte della napoletanità più classica, ovvero Pompeo Sarnelli, dovrebbe superare le prove del bisogno dell’amico: a lo besuogno se canosceno l’ammice.

D’altro canto la diffidenza nei confronti dell’amicizia, che varcando i confini dell’interesse va ben oltre, fa parte del dna partenopeo da secoli. Dubbi, perplessità, scetticismo, sintesi di quanto segue:

Amice ‘a luntan se vasano ‘e mane.
L’amico spisso è comme ‘o fungio, bello a magna’ ma difficile a diggeri’.
L’amico è comme ‘o ‘mbrello, quanno chiove nun ‘o truove maje.
Add’amice e add’ ‘e pariente nu ce’ accatta’ e nu ce vennere niente.
Poche turnese fanne l’amico scurtese.
Chi tene denare campa felice, chi no va’ nculo all’amice.

E occhio a qualche amico approfittatore, furbone: Te faje n’amico e te ‘mpreva a vajassa; A carne fa’ a carne e l’amicizia fa ‘e corne.
Il grande apprezzamento dell’amicizia proposto in vari detti è pur sempre una lode ideale.

L’amice nun so’ maje superchie.
L’amice overe so’ comm’ ‘e mosche janche.
L’amicizia è bona tredici misi all’anno.
A se fa’ n’amico è semp bbuone.

Il che giustificherebbe la delicatezza attribuita a tale vincolo quale rapporto che, una volta incrinato, è di difficile recupero: né amicizia reconciliata, né menesta scarfata, né vajassa returnata.

Chiudiamo con un paio di raccomandazioni. Con i parenti? Mai apparentarsi, negoziare e prestare denaro. E gli amici? Stando a Sarnelli, tre cose manteneno l’amice: na votta ‘e vino, nu cappiello nu quinterno de carte da scrivere l’anno.

2 pensieri riguardo “Amicizia, dall’elogio epicureo alla diffidenza partenopea

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