Dalla cucina greco-romana a quella medievale, dalla moderna alla contemporanea: l’alimentazione europea, l’alimentazione partenopea
La cucina napoletana, le sue tradizioni, la sua storia, i suoi sapori e i suoi colori, il suo presente che fonda le radici in un antico passato, il quale, a sua volta, valicando sfide, prove ed esami millenari, si proietta nel futuro: anche per la nostra cucina occorrerà un breve excursus nella sua lunga gavetta sino a giungere alla sua definitiva affermazione. Allora Memento cucina.
Il cibo, spesso e volentieri, trascende i confini dell’alimentazione. Se è vero che mangiare risponde all’elementare bisogno di nutrimento per noi esseri umani, è altrettanto vero che cosa e come mangiamo dipende dalla società e dal modello culturale in cui ci troviamo a vivere, dal tipo di cibo che il livello tecnologico ci consente di avere, dai valori sociali e da quelli religiosi, proiettati attraverso interdizioni o viceversa ostentazione del consumo.
Farei partire questo millenario percorso, al fine di non dover tornare troppo indietro, ove le fonti non possono supportarci in maniera soddisfacente, dall’antica cucina greco-romana.
Gli antichi greci si ritenevano uomini civilizzati, e diversamente dai barbari, che si accontentavano di cogliere o di cacciare quello che la natura offriva, essi avevano la sensazione che, elaborando l’alimentazione attraverso l’agricoltura, avrebbero elevato la propria condizione umana. La carne, di conseguenza, era per il Greco un alimento disdicevole poiché era il risultato di attività passive (vedi l’allevamento e il pascolo). Solo addomesticando e trasformando la natura, «fabbricando» in qualche modo il suo cibo, l’uomo poteva aspirare alla civiltà. Alimenti simbolo dello status civile furono il pane di grano ma anche il vino, l’olio di oliva e, a un altro livello, il formaggio. Il consumo di carne rimaneva marginale, quasi un tabù se si considera che era riservata ai sacrifici. Le pecore erano dunque allevate principalmente per la lana e il latte, dal quale si faceva il formaggio. I bovini erano rari ed erano utilizzati come bestie da soma e da tiro. I pesci (crostacei compresi) erano invece ampiamente consumati benché non fossero oggetto di alcuna trasformazione. La sofisticatezza dell’atto della pesca e il carattere rude del lavoro del pescatore giustificavano senza dubbio il fatto che il pesce non fosse stato classificato tra i cibi incivili.
Questi i dieci ingredienti dell’antica cucina romana che ancora oggi insaporiscono tanti dei piatti che sono serviti alle nostre tavole: pepe, olio, miele, garum, sedano di montagna, aceto, vino, cumino, ruta, coriandolo. Dai campi arati (arva) si ottenevano i cereali (il più pregiato era il frumento, ma anche orzo, miglio, segale, avena, spelta) e legumi con il baccello (fagioli, fave, piselli), mentre dagli orti con vigne e frutteti (horti) si ricavavano le verdure (holera) alla base dell’alimentazione romana, si pensi alle rape, ai porri, ai cavoli, alle cipolle e all’aglio, all’insalata, al cardo, oltre che ai tuberi e ai bulbi commestibili, consumati crudi o cotti. L’orticoltura donava leguminose, di grande apporto nutritivo (ceci, fave, lenticchie, piselli e lupini); ortaggi, verdure a foglia (lattughe, cavoli, broccoli, bietole), a stelo (aspargi, cardi, sedani), a frutto (cetrioli, zucche); radici e tuberi. Si coltivavano porri, cipolle, aglio, pastinache, rafani, ravanelli, rape. L’arboricoltura prevedeva olivi e viti. Altre piante da frutto erano: mele, pere, uva, prugne, melograni, cotogne, , carrube, pesche, ciliegie, sorbe, albicocche cedri, mandorle noci. Varietà selvatiche: castagno, quercia (utilizzo delle ghiande). Tra gli agrumi erano graditi il limone e il cedro. Il Mediterraneo era ricco di pesce: sarde, sardine, acciughe, sgombri, orate, saraghi, torpedini, sogliole e tonni, triglie e dentici, scorfani, muggini, passere e lamprede, ostriche, aragoste, calamari, seppie, polipi, mitili. La carne prevedeva i bovini, maiali, agnelli, capretti, polli, oche, anatre, piccioni e colombacci; selvaggina (lepri, cinghiali, pernici, fagiani, cervi, caprioli, tordi e beccafichi). Rane e lumache erano poi una specialità. Lardo, salsicce di ogni tipo (in particolare quella lucanica) e prosciutti valorizzavano la dieta, mangiate spesso insieme alla polenta (puls) di grano di farro.
Il regime alimentare del Medioevo, monotono (pane, farinate d’avena, polenta e pasta), misero di carne (piuttosto costosa, considerata un alimento più prestigioso ed era per lo più presente sulle tavole dei ricchi e dei nobili; diffuse erano quelle di maiale e pollo, mentre il manzo, che richiedeva la disponibilità di una maggiore quantità di terra per l’allevamento, era meno comune.e soggetto alle frequenti carestie), fu stravolto dalla inaspettata scoperta dell’America. Numerosi gli alimenti che fecero la loro comparsa nel Vecchio Continente: zucchero di canna, cacao, caffé, tea, pomodori. I terreni europei conobbero così le coltivazioni di mais e patate, dall’alta resa sul piano agricolo, ricchi di sostanze nutritive. L’introduzione dei nuovi alimenti, tra la seconda metà del XVIII secolo e la prima del successivo, permise una vera e propria svolta nella storia alimentare europea mettendo la popolazione parzialmente al riparo dalle carestie, stroncando il tradizionale rapporto, instabile e negativo, tra aumento demografico e quantità di alimenti a disposizione.
Questo il quadro che andò delineandosi: Europa centro settentrionale: Mangiapatate; Europa meridionale e sud orientale: Polenta; Mezzogiorno d’Italia: Pane, cavoli e maccheroni, da mangiafoglie a mangiamaccheroni.
Durante l’età moderna ebbero larga diffusione in Europa, prima tra le élite poi tra i ceti popolari, tè e caffè. Il successo di queste bevande, oltre che per il loro sapore, si ebbe per la loro particolare dote di favorire la socializzazione. Il tè è di origine cinese, e viene importato dall’India verso il Nord Europa a partire dall’inizio del XVII secolo. Qualche anno più tardi giunge nel Vecchio Continente anche il caffè e con esso sorgono dei locali appositamente riservati al suo consumo: i caffè, per l’appunto, destinati ad avere grande fortuna nei secoli successivi, presenti oggi in tutti i contesti urbani. Affermatosi come bevanda maschile, il caffè, nel XIX secolo, con i suoi effetti stimolanti, diviene simbolo dell’attivismo borghese contro una cioccolata considerata baluardo delle pigre classi aristocratiche e dell’alto clero. Mentre le bevande alcoliche più consumate in Europa in età moderna furono vino e birra.
Leggi anche l’articolo dedicato al caffè napoletano.
L’era contemporanea vede la rivoluzione industriale, l’esodo rurale, la formidabile espansione dell’urbanizzazione, trionfo dell’economia di mercato rispetto all’economia di sussistenza, il fenomenale sviluppo dei trasporti e del commercio internazionale.
L’industrializzazione dell’alimentazione è impressionante: produzioni di derrate tradizionali (farine, oli, marmellate, burro, formaggio…) un tempo erano realizzate artigianalmente sono ormai gestite all’interno di fabbriche di grandi dimensioni; la scoperta di procedimenti di conservazione (l’appertizzazione e in seguite il surgelamento) permette di condizionare un gran numero di alimenti freschi sotto forma di conserve o di surgelati (frutta, verdura, carne, pesce…).
L’evoluzione dei costumi e della società è caratterizzata dal degrado della funzione della padrona di casa, e l’emancipazione femminile agevola lo sviluppo dell’industria del «pronto in tavola» (piatti pronti, ristorazione collettiva…). Lo sviluppo dei trasporti e del commercio mondiale non solo consente di generalizzare il consumo di prodotti esotici (arance, pompelmi, banane, arachidi, cacao, caffè, tè..) ma anche di destagionalizzare la produzione di prodotti freschi (fragole e lamponi a Natale, mele e uva in primavera…) Tuttavia il fenomeno più caratteristico di questo periodo si esprime soprattutto in questi ultimi cinquant’anni a un ritmo straordinario, si tratta della globalizzazione di abitudini alimentari destrutturate di tipo nord americano delle quali il fast food (ristorazione veloce) è uno dei fiori all’occhiello.
(Michel Montignac)
La storia della nostra cucina, o meglio della nostra alimentazione, è sicuramente figlia di quella europea, a sua volta inevitabilmente “compromessa” con quella mondiale. E, va detto, per nostra fortuna qui da noi riusciamo a mantenere un certo attaccamento alle nostre abitudini alimentari tradizionali, alla nostra cucina.
Ricca, varia e completa: questa la cucina napoletana, celebre e rinomata in tutta Europa. La sua composizione odierna è figlia di una progressiva stratificazione di pietanze e sapori che hanno sfidato i secoli e di un incessante passaggio tra i gruppi della città e della regione e tra le loro differenti tradizioni culinarie. Assimilando e rielaborando ingredienti e piatti di culture diverse, dal Mediterraneo all’Europa settentrionale, questa cucina ha dato vita ad alcuni piatti unici e innumerevoli ricette raffinate.