Campania terra di musicisti e di artisti con forte impronta folkloristica, tra le fila di questa scena spunta l’elettronica di K-Conjog
Spesso abbiamo dato ampio spazio alla musica campana e alla scena di riferimento che nasce in questi territori e si muove su scala nazionale. Siamo abituati alla musica d’autore, al folk più o meno impegnato o al funky in salsa partenopea. Ma questa terra è capace di offrire mille sorprese e di dar i natali a uno dei più promettenti esponenti della musica elettronica in Italia ed in Europa. K-Conjog. Abbiamo deciso di intervistalo, e dalla conversazione fatta insieme sono fuoriusciti diversi spunti interessanti.
Ciao Fabrizio nella tua produzione musicale unisci moltissimi generi. Quali sono i tuoi riferimenti musicali? Potrebbe essere una domanda banale, ma ci piacerebbe capire in che modo mescoli il tuo background per creare un sound così unico.
Sono cresciuto tra musiche di videogames e pop music per poi passare al prog, a tutto il rock tra 60/70 senza disdegnare il meglio delle produzioni anni ’90 (che sono il mio decennio di formazione) e l’indie intimista da cameretta dei primi anni 0. Poi l’elettronica, il folk, l’ambient, l’IDM, i pianisti. Insomma, un miscuglio di roba. Ero un adolescente con una visione musicale ben definita, ma dogmatica. Poi un amico, e se ci sta leggendo si sarà immediatamente riconosciuto, mi fece sentire “Windowlicker” di Aphex Twin e le conclusioni furono subito cristalline: Forse non c’ho capito niente. Col passare del tempo mi risulta sempre più difficile sintetizzare quello che è il mio background, anche perché gli anni passano e lui si aggiorna. Quello che so è che mi piacciono le cose complesse ma dirette, emozionali ma anche adrenaliniche. Boh..
Il tuo disco d’esordio (“Il Nuovo è al passo coi tempi”, edito per Snowdonia Dischi/Audioglobe) è datato 2009; subito però sei stato notato all’estero ed il tuo secondo lavoro, “Le Storie che invento non le so Raccontare” è uscito per l’etichetta inglese Dirty Demos. È vero che il genere che fai ha molti più ascolti e riscontri fuori Italia? Come mai a tuo parere?
Il background (parola che prepotentemente ritorna) dell’ascoltatore italiano è fatto di canzoni, di testi. Abbiamo una storia importante al riguardo e ci può stare. La letteratura ha un ruolo di primaria importanza in gran parte della musica italiana degna di nota ed io per primo ne sono un ascoltatore vorace.
C’è una tendenza, da parte delle etichette italiane a sottovalutare l’elettronica?
Oggi direi che è il contrario, ma non è stato sempre così. Un paio di anni fa l’elettronica nostrana è riuscita a conquistarsi quella fetta di pubblico che prima sembrava non esserne interessata, diventando quasi fenomeno di massa. Ora la cosa è andata leggermente a scemare in confronto al boom iniziale, tant’è che sulla cresta dell’onda ci sono i cantautori. Quando ho cominciato io erano davvero poche le realtà di riferimento e la maggior parte di queste con un profilo più radicale in confronto ad oggi che sono decisamente più orientate all’easy listening, ma con produzioni che definire notevoli è poco.
Il tuo lavoro ha visto collaborazioni fruttuose ed eccellenti, dal remix di “stormi” di Iosonouncane a quella con il regista di videoclip Francesco Lettieri , che ha girato il bellissimo video di “Qwerty”. Come sono nate le collaborazioni con Jacopo e Francesco?
Jacopo mi scrisse per presentarmi il progetto dandomi massima libertà e credo che la nostra connessione sia stata in primis Trovarobato, essendo entrambi in catalogo. Francesco invece, svariati anni fa, ascoltò un mio brano su Youtube e mi fece un video senza dirmi nulla. All’epoca non ci conoscevamo e solo dopo averlo visto scoprii che abitavamo a 10 minuti di distanza.
In particolare cosa puoi dirci su Francesco Lettieri?
Che sta esagerando con i tatuaggi.
A proposito di collaborazioni eccellenti, con quale artista ti sei trovato meglio a lavorare e quali sarebbe la collaborazione futura ideale?
Sembrerà banale a dirsi, ma ogni collaborazione mi ha in qualche modo restituito qualcosa di unico, spesso un modo diverso dal mio di vedere le cose, per cui non saprei dirti con chiarezza con chi mi sono trovato meglio. Mi viene da dire con tutti! Ho quasi esclusivamente collaborato con persone di altri campi, questa volta mi piacerebbe un’inversione di tendenza e collaborare più con i musicisti.
Un respiro internazionale e tantissimi live in giro per l’Italia, ma hai anticipato molti e mosso i tuoi primi passi a Napoli. Cosa pensi della scena musicale campana e nazionale?
Le cose cambiano con estrema velocità ultimamente e direi anche “storicamente più del solito”. Quando mandavo in giro le mie prime demo la musica indipendente era un luogo inospitale ma coloratissimo, un canale in cui risiedeva tutto ciò che non trovava spazio nei canali ufficiali perché di scarsa vendibilità (quindi bello, interessante). L’autorialità, senza scadere in “spicciole complessità”, era posta alla base di ogni progetto. Questo dava ai musicisti una maggiore libertà e chi voleva provare a fare milioni di dollari con il pezzo dell’estate sapeva dove e come andare a sbattere, che fosse l’andare a bussare alle porte di una major e chiedere l’elemosina là sotto o fidanzarsi con la figlia di Mr. Sony poco importava. Oggi, invece, le cose si sono un po’ capovolte. Sia chiaro: non amo i nostalgismi e non credo che “si stava meglio quando si stava peggio” anzi, pongo molta speranza in quello che verrà e trovo del buono in ciò che c’è. Premettendo che si è indipendenti non per scelta ma per necessità, nessuno escluso, oggi la musica indipendente italiana è un luogo altrettanto inospitale ma con delle regole di mercato rigide e precise esattamente come per il mainstream (termine ormai desueto). L’autorialità c’è sempre, però alla fine (tranne rari casi ed eccezionali) escono fuori sempre delle cose imbarazzanti e non perché a comporle siano degli stupidi, ma talvolta sono quegli stessi autori che decidono di assecondare un pubblico che non riesce a sostenere più di 5 secondi d’attenzione su qualsiasi cosa. Ed ecco che l’autore cede il passo al mestierante che ci confeziona un prodotto da testare prima nel sottobosco per poi arrivare dritto dritto nelle reti di stato. In un mondo ideale questo sarebbe il sogno di ogni musicista, riuscire ad arrivare a quante più persone è possibile vivendo della propria musica, ma quando è il profitto l’unica regola del gioco ad ogni livello ci si possono aspettare sempre le solite due cose: rincoglionimento globale e abbassamento del contenuto delle produzioni. Che poi detta così, sembra quasi che questi musicisti guadagnino una barca di soldi, in molti casi è vero ma in tanti altri no, anche perché si è aggiunta una nuova moneta di scambio a fare il lavoro sporco, quella che fa leva sull’ego e sulla vanità, il vero motore di questi anni: LA VISIBILITÀ. Ma non mi dilungherò ulteriormente su questo punto, anche perché è vero che stanno uscendo delle cose non proprio bellissime, ma fortunatamente ne escono anche di straordinarie e forse è anche il prezzo da pagare per ascoltare bei dischi e mi fa piacere sapere che alcune cose, quelle migliori, stanno anche arrivando oltre i confini nazionali. La scena musicale campana, invece, ha una genuinità che quella nazionale non ha (come spesso accade quando il gioco si fa più largo ed i numeri crescono) e vuoi per la questione del dialetto, vuoi perché la proposta è sempre un po’ la stessa, mandolini come se non ci fosse un domani, si fatica ad arrivare ad avere un appeal nazionale. Figurati internazionale. Così come si fatica ad ascoltare delle produzioni veramente interessanti (e ce ne sono, tra queste Golden Rain e Yombe), alla fine dei giochi molte delle cose che escono sembrano già stantie, senza la minima consapevolezza di quello che è successo in musica negli ultimi 15 anni. Che non sia interpretata la mia come puzza sotto al naso, ma come ascoltatore e produttore mi sento assai lontano dalla realtà partenopea. Nulla di personale, è un po’ come avere il coinquilino a cui vuoi un mondo di bene e che va pazzo per la fusion e vuole farti sentire a tutti i costi i dischi di Billy Cobham. Come non rispondere con un cortesissimo: “Magari un’altra volta” ?
Dicevamo delle tue radici campane e “Napoletane” . Che rapporto hai con la tua terra d’origine?
Ho un legame fortissimo con la mia città, perché ci sono nato e perché i miei affetti sono qui, ma non sono di quelli che si commuovono guardando il Vesuvio e sprizzano napoletanità da tutti i pori. Le macchiette e le parodie mi annichiliscono e credo che siano la vera rovina di una città tanto bella quanto complessa.
Hai presente Dardust? Avete qualcosa di simile nel vostro modo di comporre?
Ti ringrazio per il paragone. Non saprei, sarebbe interessante chiacchierarci per scoprirlo.
Come dicevamo tanti live in giro per l’Italia e l’Europa ma un occhio allo studio; a quando il nuovo lavoro? Stiamo fremendo.
Da qualche tempo lavoro incessantemente a quello che sarà il disco nuovo. Quindi: Anche io!!!