Riscoprire il fascino della natura vesuviana attraverso l’opera dell’impressionista pugliese che amò Napoli: Giuseppe De Nittis

Napoli, città vibrante di vita, pullulante di contraddizioni, affascinante e misteriosa, capace di incantare, sedurre e far innamorare, è stata da sempre la musa ispiratrice di poeti, artisti, scrittori che nel tempo hanno fornito interpretazioni diverse di una città alla quale è impossibile restare indifferenti. Di recente il centro storico è stato scelto dagli stilisti Dolce & Gabbana come set per la realizzazione di due spot pubblicitari, che hanno suscitato un’ondata di polemiche, in quanto, secondo alcuni, consegnerebbero al mondo un’immagine falsa, lontana dalla realtà, basata su clichè e stereotipi.

Ma, volgendo lo sguardo al campo letterario, ci si accorge che, nel corso dei secoli, numerosi sono stati gli autori che hanno contribuito a creare quest’immagine “macchiettistica”, che rappresenta i napoletani come un popolo sempre allegro, spensierato, buono. Nel saggio “Le due Napoli” Domenico Rea definisce un canone della letteratura napoletana, composto di modelli e antimodelli: da un alto gli autori che hanno preferito la superficialità della vitalità e del folklore, dall’altro gli scrittori che hanno avuto il coraggio di “guardare nel buio del vicolo strettissimo”, di fornire una rappresentazione realistica della città.

Qual è dunque l’immagine più vicina alla realtà, quella più vera, autentica? Impossibile dirlo, come impossibile è dare definizioni assolute quando si è di fronte ad un intrico di misteri, di immagini, volti, colori, suoni, che sfugge a qualsiasi tentativo di catalogazione. Ciò che si può fare è apprezzare le diverse sfumature con cui gli artisti sono riusciti a rendere i mille volti di Napoli.

Trasportando la riflessione sul piano artistico, il divario tra le due Napoli sembra attenuarsi e dissolversi nelle pennellate con cui i pittori hanno rappresentato la città nelle diverse epoche. Tra questi, vi è uno straordinario artista non napoletano, ma che a Napoli trascorse un periodo significativo della sue esistenza e che amò profondamente la città: Giuseppe De Nittis.

La Napoli che io amavo era quella ingenua e pittoresca, dall’incomparabile animo poetico, e io adoravo tutto di lei, le sue passioni, le sue violenze, persino le sue selvagge esplosioni di collera.

Nato a Barletta nel 1846, all’età di 15 anni De Nittis si trasferisce a Napoli, dove inizia a frequentare l’Accademia di belle arti, dalla quale però verrà espulso pochi anni dopo per indisciplina. Da quel momento diventerà maestro di se stesso, come afferma nel Taccuino, rivelando la sua intolleranza agli ambienti accademici, allora dominati dal verismo. Poco dopo aver lasciato l’Accademia, De Nittis fonda, insieme ad alcuni autorevoli pittori, come De Gregorio, Cencioni e Rossano, la Scuola Di Resina, definita dal critico Martelli “una camerata di radicali in arte”. La scuola, che prendeva il nome da una località corrispondente all’attuale Ercolano, si proponeva come obiettivo primario una pittura en plein air, aderente al vero, attenta alla resa della luce e dei contrasti cromatici.

Quello napoletano rappresenta sicuramente uno dei periodi più fecondi per il giovane pittore barese, una tappa fondamentale nel suo percorso personale e artistico. Proprio in questi anni avviene il primo contatto diretto con la natura vesuviana, che egli coglie nei suoi aspetti sublimi e drammatici, trasportando sulla tela colori, luci, riflessi, atmosfere che non si limitano ad una mera raffigurazione della realtà, ma sono immagini dotate di un forte potere evocativo, in cui è costante il richiamo alla sua interiorità e alle sue emozioni.

“Finezza ed eleganza sono le caratteristiche del suo talento… Era chiamato a rendere il lato elegante della natura.”

– A Cencioni

Nel 1866 espone alla mostra della Promotrice Salvator Rosa due dipinti che vengono acquistati da Vittorio Emanuele II per la Reggia di Capodimonte: Passaggio degli Appennini e Casale nei dintorni di Napoli.

Nel 1867 avviene il primo viaggio a Parigi, dove De Nittis entra in contatto con alcuni esponenti di spicco dell’ambiente artistico e letterario, tra cui Degas, Manet, Zola. A Parigi tornerà poi nel 1874 per partecipare, su invito diretto di Degas, alla prima mostra degli impressionisti.

Per tutta la vita De Nittis mantiene un legame costante con la città di Napoli, che ha visto gli albori della sua pittura, e il delinearsi di un suo personale e originalissimo modus pingendi, in cui confluiscono diverse influenze, dal verismo, all’impressionismo, alla pittura dei macchiaioli, con cui entra in contatto durante un soggiorno a Firenze.

La macchia di colore non era per lui una questione di conoscenza, di visione, ma di charme.

 

L’influsso dei macchiaioli è particolarmente evidente in alcuni dipinti, come Veduta del porto di Napoli.

Nel 1870, tornato a Napoli, in seguito allo scoppio della guerra franco-prussiana, De Nittis inizia una serie di studi del Vesuvio, colto in diverse ore del giorno e in diverse condizioni atmosferiche. L’amore per questa terra si traduce in una totale compenetrazione con l’ambiente naturale, in giochi di luce e colore che riescono a rendere l’aspetto più poetico della Napoli di fine Ottocento. Della natura vesuviana De Nittis non coglie solo gli aspetti idillici, ma anche i lati più oscuri e terribili, in scene di vibrante suggestività, in cui l’adesione alla realtà si fonde con una straordinaria forza evocativa, in grado di rendere l’immediatezza delle emozioni.

La gamma cromatica varia notevolmente passando dalla rappresentazione del Vesuvio in stato di quiescenza, trattato con toni più lievi, alle immagini più minacciose, che esprimono l’incoercibile violenza dalla natura, come in Pioggia di cenere, in cui le infinitesime dimensioni delle figure in primo piano contribuiscono ad accentuare l’assoluta predominanza della colata di cenere e detriti.
Ma la sensibilità artistica di Giuseppe De Nittis non si rivolge solo allo studio del Vesuvio, bensì dà vita a una serie di dipinti paesaggistici, che ci restituiscono immagini di malinconica contemplazione o di gioiosa serenità: si passa dalle scene boschive nei dintorni di Portici, caratterizzate da virtuosistici giochi di luci e ombre, alla rappresentazione di assolati tratti di costa, a vedute dell’isola di Capri scorta in lontananza.

 

Pochi artisti sono riusciti, come De Nittis, sono riusciti a raffigurare in maniera così veritiera, ma al contempo poetica ed elegante la bellezza di Napoli e dell’area vesuviana. Riscoprire le sue opere oggi, in un territorio sempre più inquinato, deturpato, violentato dall’uomo, significa riscoprire la ricchezza  di un dono meraviglioso e rendersi conto dell’importanza di salvaguardare, proteggere, amare, una terra dalle infinite potenzialità.

Un pensiero riguardo “L’animo poetico della Napoli di fine ‘800 nei dipinti di Giuseppe De Nittis

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