Le catacombe di San Gennaro e San Gaudioso: quando l’amore per la propria terra incontra il desiderio di rinascita, riemerge la bellezza dimenticata
Nelle viscere di Napoli c’è un ritmo pulsante che vibra da millenni, una linfa vitale che arriva da lontano e che si riverbera negli occhi dei figli di questa terra, che non possono fare a meno di amarla, nonostante tutte le sue contraddizioni. Solo così è possibile capire Napoli, perchè, come ha scritto lo storico Camillo Albanese, è una città che non si lascia comprendere se non si sente amata.
Come sempre, all’inizio di una storia, occorre un atto di fiducia, un piccolo salto nel vuoto per riuscire a vedere le cose con occhi limpidi, scevri da ogni pregiudizio o luogo comune. Allora, per qualche momento, lasciamoci guidare alla scoperta dei tesori che si celano nel cuore di Napoli, in uno dei suoi quartieri più antichi e affascinanti: la sanità, luogo che sembra racchiudere l’essenza più autentica della città, come una rande tela in cui zone d’ombra e di luce si affiancano per dipingere uno scenario imperfetto ma meraviglioso nella sua unicità.
Partendo dalla piazza principale del Rione, iniziamo un cammino che ci porterà a viaggiare nel tempo, scoprendo luoghi che raccontano storie lontane, antichissime eppure al tempo stesso vicine, in quanto testimonianze del profondo rapporto dei napoletani con la spiritualità. La basilica barocca di Santa Maria della Sanità, costruita a inizio Seicento, si erge maestosa nella piazza, con la caratteristica cupola maiolicata che si vede attraversando il ponte. Vero e proprio scrigno di arte e fede, è considerata un museo della pittura del XVII secolo, con opere di artisti come Luca Giordano e Andrea Vaccaro. La basilica deve il suo nome a un affresco del VI sec., la più antica rappresentazione della Madonna a Napoli, ma è anche nota come chiesa di San Vincenzo, perchè custodisce una statua di San Vincenzo Ferrer che, secondo la tradizione, salvò la città da un’epidemia di peste nel 1836. A partire dalla costruzione della Basilica nel XVII sec. il quartiere si sviluppò urbanisticamente e cominciò ad ospitare le dimore di molti nobili napoletani.
Nell’Ottocento, per facilitare il percorso della famiglia reale dal centro della città verso la reggia di Capodimonte, fu costruito un ponte. Le conseguenze per il quartiere furono disastrose: il ponte, infatti, pose il rione Sanità in una condizione di isolamento, favorendo il prolificare di situazioni di degrado e criminalità. Ma proprio da questo degrado, che si è protratto nel tempo, è stato possibile ripartire, ritrovare una scintilla nel buio per ricominciare a sperare in un futuro migliore, per non dimenticare quanta bellezza, quanta vitalità si celava nell’immenso patrimonio culturale, artistico ma soprattutto umano per troppi anni abbandonato a se stesso. Questo percorso di rinascita comunitaria e di valorizzazione del patrimonio artistico è iniziato nel 2000, con l’arrivo del nuovo parroco alla basilica della Sanità: don Antonio Loffredo. Nel 2006 nasce la cooperativa La Paranza, un gruppo di giovani innamorati della propria città che creano un modello di economia sociale, basato sui valori della solidarietà, della cooperazione e dell’ospitalità. Dopo aver ottenuto la gestione delle catacombe di San Gaudioso, nel 2008 la Paranza ha vinto il bado storico-artistico di Fondazione con il Sud, che ha consentito il recupero delle catacombe di San Gennaro, le prime al mondo ad essere accessibili a non vedenti e disabili.
Bastano pochi gradini per ritrovarsi in un mondo sospeso tra passato e presente, dove Oriente e Occidente s’incontrano, dove sembra di percepire nell’aria la precarietà della vita umana, di sentirla quasi sulla pelle, come l’umidità che permea gli ambienti ricavati nel tufo. L’accesso alle catacombe di San Gaudioso si trova nella basilica di santa Maria della Sanità, sotto l’altare maggiore. Camminare in questo luogo è un po’ come camminare attraverso i secoli, passando da un’epoca all’altra man mano che si scoprono gli affreschi e si prova ad immaginare la storia delle anime che raffigurano.
Gaudioso l’africano, vescovo di Abitine, in Tunisia, fuggito dalle persecuzioni dei Vandali, si rifugiò a Napoli. Alla sua morte, nel 452, fu sepolto nel cimitero extra moenia e il luogo della sepoltura divenne presto oggetto di culto. da lì cominciò a espandersi l’ipogeo paleocristiano oggi noto come Catacombe di san Gaudioso, in cui sono custoditi affreschi e mosaici del V sec., ricchi di simboli cristiani, come il pesce, l’agnello, la vite e i tralci. Accanto a questi elementi paleocristiani si trovano anche affreschi risalenti al XVII secolo, quando le catacombe ripresero la loro funzione sepolcrale. Fra questi affreschi se ne trova anche uno, l’allegoria della morte che vince su tutto, che forse fornì a Totò l’ispirazione per comporre “A livella”.
Usciti dalle catacombe di san Gaudioso, ci dirigiamo verso la chiesa dell’Incoronata a Capodimonte, nota anche come Piccola san Pietro per la sua struttura.
Con lo stesso biglietto delle catacombe di san Gaudioso è possibile accedere anche a questo straordinario monumento del cristianesimo, che rappresenta la più vasta area cimiteriale del sud Italia. Il nucleo più antico antico delle catacombe di San Gennaro risale al II sec. ed era forse il sepolcro di una famiglia gentilizia che poi donò gli spazi alla comunità cristiana. Le catacombe sono disposte su due livelli non sovrapposti, caratterizzati da ambienti molto ampi. Nel IV sec. iniziò l’ampliamento, in seguito alla deposizione delle spoglie di Sant’Agrippino, primo patrono di Napoli, nella basilica ipogea a lui consacrata, in cui ancora oggi si celebra la messa. Attorno alla basilica, secondo una struttura a reticolato, si è sviluppata al catacomba inferiore, che presenta soffitti alti anche più di sei metri. La catacomba superiore, invece, iniziò a espandersi nel V sec. con l’arrivo delle spoglie di San Gennaro, che trasformò il luogo in meta di pellegrinaggio.
Al termine di questa passeggiata indietro nel tempo, all’insegna della bellezza immutabile, risaliamo in superficie, torniamo al nostro presente, spesso ricco di echi dal passato che non riusciamo ad ascoltare, troppo presi dalle nostre corse frenetiche.
Un raggio di sole illumina l’uscita dalle catacombe, sembra indicare una strada, sembra quasi invitarci a proseguire il cammino, a scoprire ancora le infinite meraviglie del rione Sanità. C’è tanta luce in questo quartiere, tanta speranza, tanta voglia di condividere idee, progetti, energie e talenti. “Luce” è la prima parola a cui si pensa una volta usciti dalle catacombe. Luce è una parola che racchiude un mondo di sogni, desideri, speranze che risplendono negli occhi dei bambini che giocano per le strade di questa città. E forse nessuno meglio di loro può raccontare che cos’è la Sanità.
Il brano “Luce, racconto di un quartiere”, omaggio alla nascita della comunità Fondazione di san Gennaro nel 2014, è stato scritto e interpretato da alcuni ragazzi del quartiere, ed è frutto di un percorso didattico tenuto dal cantautore Andrea de Rosa, da Tato Strino, autore delle musiche e Mario Pistolese, che ha diretto le riprese e il montaggio. Rappresenta il frutto del lavoro sinergico di diverse realtà sociali, che da anni si impegnano per garantire un futuro migliore ai giovani del rione: L’Altra Napoli onlus, il Nuovo Teatro Sanità, l’Apogeo records, etichetta discografica con sede nella basilica di San Severo.