Nanoracconti, la realtà letteraria nata da un’idea di Pietro Damiano, apre la sua rubrica tematica su Terre di Campania. Secondo input: Napoli che suona
È questione di battute. 250. Gli spazi? Inclusi. Il titolo? Escluso. E poi? E poi sembra impossibile: si sfora, si cancella, si asciuga ed eccolo: il nanoracconto. Però ricorda, non sono stati d’animo, sensazioni, battute o barzellette, sono vere e proprie storie che intrappolano gli autori in una assurda sfida con se stessi e lasciano i lettori dapprima perplessi, poi incuriositi e infine affascinati, fino a diventare loro stessi autori. Ecco la magia dei nanoracconti.
Questo l’incipit dei Nanoracconti, un’idea di Pietro Damiano, che ha trovato in Terre di Campania, la giusta vetrina per promuoversi e dar vita ad una serie di micro storie dedicate alla Campania.
Il tema di questo primo articolo, appartenente alla rubrica dedicata ai Nanoracconti è: Napoli che suona
”Piedigrotta Barrese” ovvero la danza del Giglio di Clementina Renzi
Voci concitate, un comando, un centinaio di uomini sotto un obelisco alto più di venti metri, lo sollevano con passione. Una musica che esalta. Coriandoli. La folla insorge coinvolta in una frenetica danza, incita, inneggia, impazzisce.
Non si scorda di Margherita Prokina
La melodia nella Stazione Centrale si staccò dalla folla e volò, toccando la grandezza reale, la ruota solare, le barche colorate, il profumo di Margherita, gli automobilisti impazziti, la puzza di spazzatura e si posò sulle dita del pianista.
Amar cantando di Pietro Damiano
Mi teneva azzeccata sul suo petto. Dal telefonino una musica si perdeva tra le onde. Luna piena, birra, qualche rutto e un tarallo come anello. Mentre il cuore pompava a mille, lui mi sussurrava “’Sta luna me pare ‘na scorza ‘e limone…”.
La turista di Carmen Maxia
Il mare era musica, lo sapeva. Veniva da un’isola dal vociare arabo genetico. Ma quella era musica di scugnizzi rincorsi dalle madri, di lontananza, di nostalgia nello stomaco, da urlare. Due passi, dal porto su per i vicoli e le gambe danzarono.
Cant sulagno di Francesco Iervolino
È asciut pazz o padron e ra fenestella e marechiaro n’ombra scura scura va alluccann: je so pazz’! Mo basta, je nu voglio chiagnere cchiu’ pe te, Napule. Re mille culure è rummast o soul express che fa cchiù amara sta tazzulella e cafè. Don Rafé.