I vagabondaggi nella Storia di Antonio Sena, docente di storia e lingue classiche, appassionato di arte e archeologia.

In un brano di “Passeggiate campane”, Maiuri osservava alla fine degli anni Trenta: “A girare per le vie di Nola in un pomeriggio d’autunno fra umili case e portali di palazzi, dalla piazza del duomo alla piazza Giordano Bruno…par di essere in un pingue borgo di mercato e di pianura, in una città di contado, fatta solo per la vita beata dei campi, per rendite grasse e ricchezze tranquille”.

A questa apparenza dimessa contrapponeva la tradizione letteraria e antiquaria, che ha nel “De Nola” di Ambrogio Leone la sua testimonianza più significativa.

Quando l’ho frequentata io nei cinque anni liceali, tra il 1979 e il 1984, il carattere agricolo era in buona parte scomparso, quello un po’ sonnolento della provincia no. Le testimonianze archeologiche si riducevano alle statue di togati nel cortile del Municipio, alle metope incastrate nella zona inferiore di palazzo Covone, alle iscrizioni romane del seminario con il celeberrimo cippus abellanus osco. Quella nolana era un’archeologia da archivisti e topografi, con scarsi riscontri sul terreno.

Da qualche decennio la situazione è un po’ cambiata. L’anfiteatro, di cui Maiuri riconosceva “tra campi di frumento e festoni d’uva” la curva ellissi affondata nel terreno come un gran vaso ricolmo, è stato parzialmente scavato contendendolo però a noccioleti, che da Nola ad Avella a Visciano, sono da tempo uno degli alberi tipici del territorio. Ma soprattutto, da poco oltre vent’anni, a Nola nell’ex convento delle suore canossiane c’è un museo archeologico, dopo fasi alterne finalmente riaperto definitivamente.

Nola e le sue aree sepolcrali situate negli odierni comuni di Cimitile, S. Paolo Belsito, Marcianise, sono state abbondantemente spogliate da tombaroli e nobili proprietari dei terreni e, tranne casi fortunati (la collezione Spinelli di S. Paolo Belsito, nel dopoguerra donata al Museo archeologico napoletano), hanno fornito vasi a tanti musei del vecchio e nuovo mondo.

Al museo nolano mancano certo due reperti di grande valore anche simbolico, finiti per fortuna nel Museo napoletano, l’idria Vivenzio e la parete tombale con guerrieri sannitici che è come il simbolo di questa fiera aristocrazia sannitica aperta largamente a influssi greci e che per anni ha illustrato i capitoli dei manuali sulle guerre sannitiche con la dicitura esplicativa: “pittura da Paestum”. Solo gli studi archivistici che hanno accompagnato la grande mostra sulla Magna Graecia di Palazzo Grassi del 1996 hanno definitivamente accertato la provenienza da Nola. Contemporaneamente infatti alla grande mostra veneziana si organizzavano altre mostre in centri importanti e si riallestiva la collezione magno-greca del Museo di Napoli e nel volume “I Greci d’Occidente. La Magna Grecia nelle collezioni del Museo di Napoli” si offrivano tutte le prove della provenienza nolana del celebre dipinto. Pur privato di questi reperti significativi, il piccolo museo nolano ci guida attraverso la Nola osca con forte connotazione etrusca, sannitica e infine romana con reperti significativi dei diversi momenti.

La città dei cavalieri sannitici è rappresentata dalla cosiddetta tomba del guerriero con le sue quattro lastre dipinte e purtroppo notevolmente deteriorate. Il florido commercio di età etrusca e sannitica è testimoniato da raffinati esemplari delle due tradizioni artigianali vascolari che si contesero l’esportazione in Occidente, quella corinzia prima, progressivamente poi soppiantata da quella ateniese. Esemplari di alabastra corinzi fronteggiano vasi ateniesi di squisita fattura con le rappresentazioni tipiche dello stile di vita e del patrimonio mitico di quella città come l’atleta e la lotta fra Teseo e il Minotauro. Prima della conquista sannitica la fase osco-etrusca è testimoniata dal tipico bucchero col suo nero scintillante ed una tomba dell’VIII secolo ne conserva in grande quantità, sia pure non della qualità più fine.
Dagli scavi dell’anfiteatro provengono pilastrini con rappresentazioni di guerrieri che trionfano sui barbari e ci presentano l’ideologia imperiale della conquista e della supremazia nel luogo che, tra i tanti significati, rappresentava anche la potenza guerriera di Roma.
La ragazza in peplo e un Dionisio dal modellato sicuro ed espressivo ci riportano ai fasti delle domus nolane di età imperiale, opere che sono brandelli di uno splendore perduto ma che per la qualità dell’esecuzione hanno avuto il privilegio di accompagnare una mostra pompeiana in Giappone.

Esco dal museo e rifaccio anch’io il giro dell’archeologia urbana, raggiungendo presso piazza Giordano Bruno il palazzo Covone, dalle nobili forme tardo rinascimentali, col suo portale di piperno che ancor più risalta sulla recente ritinteggiatura in bianco. Ad altezza d’uomo nella muratura emergono massicce metope con corazze ed elmi sulla cui provenienza si potrebbe discutere all’infinito in mancanza di dati oggettivi.

Nella pubblicistica locale si parlava del teatro, definitivamente dissestato dal conte Orsini per costruire il suo palazzo (oggi sede del tribunale di Nola) a pochi passi da qui, nella piazza; nei pannelli del museo si ipotizza facessero parte di recinti tombali. Sicuramente con i loro tratti di scalpello decisi e la precisione dei particolari fanno risaltare la potenza dell’impero, la cui immagine doveva giungere in tutte le città grandi o piccole, e soprattutto in quelle che di questa storia di conquiste erano parte integrante, il cuore di quella stirpe italica che, fusasi con i latini, alla fine aveva conquistato l’impero.

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