Le storie, le leggende e il simbolismo dietro la pastiera pasquale: la regina delle tavole imbandite durante i giorni di festa.

Chi non conosce la lieta fragranza di una pastiera, posata, la domenica di Pasqua, nel bel mezzo delle tavole imbandite? Forse qualcun altro ricorderà anche il vociare successivo ai primi morsi di quel dolce, il tripudio di giudizi e valutazioni: “troppo secca”, “non si sente il grano”, “troppo cotta” e via dicendo. Sicuramente, però, la pastiera è una gradita presenza fissa nelle festività pasquali e, di ricetta in ricetta, rimanda ad un mitico passato, quando gli oggetti della quotidianità sapevano ancora accordarsi ai ritmi della natura e del sacro.

Antica leggenda lega la creazione della pastiera a Partenope, protettrice di Napoli. Fu lei che, per ringraziare i napoletani dei doni a lei tributati, perlopiù grano, uova, latte, aromi, decise di mescolarli in un soave pasto, più dolce del suo canto. Poco più di una leggenda, diremmo oggi, ma utile ad indicarci il passato greco di Napoli come momento fondamentale nella genealogia della pastiera. Fu allora, infatti, che il grano, frutto della terra per eccellenza, l’uovo, simbolo di creazione, il latte, simbolo di abbondanza, s’incontrarono come offerte alla dea Cerere/Demetra per l’arrivo della primavera, forse già uniti rudimentalmente in qualche focaccia sacrificale.

Meno conosciuta è, invece, l’ipotesi suggestiva che fa derivare la pastiera dalla coliva, dolce della tradizione ortodossa, la quale, tramite la dominazione bizantina, ha trovato un durevole appiglio nelle terre campane. La coliva è un dolce a base di grano bollito (!) e miele, usato come pasto simbolico durante la commemorazione dei defunti, soprattutto nel primo sabato della Grande Quaresima ortodossa. Ogni elemento nella coliva è simbolo di morte, preludio di Resurrezione, dagli ingredienti fino alla forma rigonfia, per ricordare una tomba, e al colore bruno come la terra.

Dal passato greco e dalle influenze ortodosse la pastiera arriva, verosimilmente, fino a noi, con la sua portata simbolica e i suoi ingredienti fondamentali, “istituzionalizzati” nella ricetta tradizionale delle suore di San Gregorio Armeno, che fin dal XVII secolo si fecero generose preparatrici di pastiere per la nobiltà partenopea.

Così, ancora oggi, consumiamo annualmente un dolce i cui ingredienti evocano il messaggio cristiano e la Resurrezione pasquale. Addentiamo la pasta frolla, che richiama il “pane della vita” (Gv 6,35), gustiamo il ripieno di ricotta, ovina come “l’Agnello di Dio” (Gv 1,29), uova, simbolo di Resurrezione, e chicchi di grano bolliti nel latte. La connessione del latte con l’ambito materno, fa sì che l’immersione in quest’ultimo equivalga ad un ritorno al grembo primordiale della Madre Terra. Viene richiamato simbolicamente, così, il nucleo del Mistero di Resurrezione: “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Anche questo avviene nella preparazione e nella consumazione della pastiera, dove il chicco viene bollito nel latte e macerato tra denti, nel giorno della Resurrezione. In ultimo, non dimentichiamo gli inebrianti profumi degli aromi, intangibili segni della presenza spirituale, e la dolcezza di zucchero e canditi, premonizione di beatitudine.

Siamo tentati, allora, di apprezzare la linea retta che da un passato antico e pagano, celebrante il risveglio primavera, porta, occultamente ma senza strappi, alla festa della Resurrezione di Cristo. Ma la storia non sempre procede per linee rette, spesso, anzi, disegna circoli curiosi. Si narra, infatti, che a preparare la pastiera, in quel di San Gregorio Armeno, siano le suore più formose, naturalmente adatte a stendere la pasta posandoci sopra i grandi fianchi. Riemerge così dalla notte dei tempi, pur contrastando con l’austerità monacale, il valore grottescamente augurale della sensualità femminile, esibito pubblicamente (anasyrma) nelle celebrazioni primaverili del culto di Demetra.

Mangiando anche quest’anno quel dolce pasquale, la pastiera, potremmo essere allora attori più consapevoli di un pasto che, ancestralmente, ci richiama a partecipare ai misteri della Rinascita, come celebrati dagli uomini di ogni tempo.

Auguro a tutti i lettori una Buona Pasqua. Auguri!

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