Picasso Parade: l’8 Aprile è stata inaugurata la mostra di Pablo Picasso a Napoli che si prolungherà fino al 10 Luglio 2017.
Al museo Nazionale di Capodimonte, dove è allestita la mostra, è possibile scoprire cosa ha mosso il senso artistico di Picasso, è possibile osservare cosa lo ha ispirato. La mostra raccoglie infatti diversi lavori, tra cui bozze che ci permettono di seguire il percorso creativo dell’artista nell’ideazione dei costumi di Parade, sfidandoci ad empatizzare con una mente artistica irraggiungibile. È inoltre possibile scoprire, durante questo percorso verso l’arte, l’ammirazione di Picasso nei confronti della cultura napoletana.
Si dice che l’artista sia sempre stato affascinato dalla città di Napoli e la sua cultura, dove si uniscono sacro e profano. Il suo interesse per l’arte presepiale e il teatro popolare costituisce una testimonianza di grande interesse. Alla maschera di Pulcinella, Picasso dedica la sua arte, affiancandolo quasi sempre ad Arlecchino, con il quale lui stesso si identifica. Le due figure rappresentano per l’artista l’equilibrio tra apollineo e dionisiaco. Sono complementari, Arlecchino è solare e invincibile, Pulcinella, contrassegno di Napoli, esprime la dimensione lunare e burlesca. È stata esposta parte della collezione “Fundacion Almine y Bernard Ruiz Picasso par el Arte”, in particolare si tratta di tre figure del mondo del presepe acquistate dall’artista durante la sua permanenza a Napoli. Picasso rimase folgorato dal mondo immaginifico del presepe soprattutto dai materiali poveri usati per le scenografie, come il legno, lo stucco, il sughero e la carta, materiali di cui sembrano fatte le colonne e l’arco, dipinti nel sipario di Parade.
È proprio Parade il soggetto della mostra, un balletto in un atto di Leonide Massine, su poema di Jean Cocteau, del quale Picasso si è occupato per i costumi e le scene. Presentato a Parigi il 18 Maggio 1917 al theatre du chatlet, il programma della prima di Parade porta con sé il tema, caro a a molti, del reale e l’irreale, ideato dal poeta Jean Cocteau.
La scenografia rappresenta le case di Parigi una domenica. Teatro ambulante. Tre numeri di music-hall fanno da parata. Prestigiatore cinese, ragazzina americana, due acrobati, tre manager fanno pubblicità. Nel loro linguaggio orribile dicono che la folla confonde la parata con lo spettacolo in sé e cercano in modo grossolano di farglielo capire. Nessuno si lascia convincere. Dopo il numero finale, sforzo estremo dei manager. Il Cinese, gli acrobati e la ragazza americana escono dal teatro vuoto. Vedendo il fallimento dei manager, cercano di dar prova delle loro capacità. Ma è troppo tardi.
Il pubblico è confuso, sconcertato prima di tutto dal contrasto tra la pittura classicista del sipario e il balletto cubista. La musica, inoltre, porta la firma di Satie ed è un mucchio di rumori, il ticchettio di una macchina da scrivere, colpi di rivoltella. Le coreografie bizzarre di Massine indispettiscono la platea. I costumi di Picasso partecipano al sentimento di smarrimento suscitato nel pubblico. Nelle figure dei manager, l’americano e il francese sono evidenti i segni del cubismo sintetico: scomposizione, smembramento di uomini. La figura del cavallo ricorda l’arte africana. I due acrobati, con le loro calzamaglie, ricordano i costumi creati da Leon Bakst, coniugando la raffinatezza del simbolismo francese con la tradizione popolare russa. Il Cinese sembra essere il risultato di un misto tra orientalismo e futurismo, con un rimando al lavoro di Matisse, amico e rivale di sempre.
Non di rado, gli artisti di un tempo avevano l’abitudine di collaborare, in nome dell’amicizia, in nome dell’arte. “L’unione fa la forza”, mai come in questo caso, e del risultato di questa collaborazione artistica ne hanno gioito tutti, tranne il pubblico della prima. Il giornalista IIya Ehrenburg descrive così il primo appuntamento tra Parade e gli spettatori:
Un cavallo è uscito sul palco indossando una maschera cubista e ha cominciato a eseguire trucchi da circo, si è inginocchiato, ha ballato e si è inchinato. Il pubblico, credendo che i ballerini lo prendessero in giro per le loro proteste, ha completamente perso la testa; gridavano “Morte ai russi!” “Picasso Crucco!” “I russi sono crucci!”.
Nonostante l’imbarazzo e la delusione della folla, un’opera così politematica e complessa è arrivata sino ai giorni nostri, o dovremmo forse dire che è proprio grazie al malinteso suscitato nella prima che possiamo godere di tale artisticità oggi?
Foto di Erica Morino