Tra l’Irpinia e il Tammaro pascola la pregiata razza bovina, da cui sapienti allevatori ricavano una carne tenera e gustosa.
Nell’antichità la convivenza tra l’uomo e gli animali era molto più stretta che oggi, epoca in cui l’espansione delle città e l’incedere dell’urbanizzazione ha portato ad un progressivo allontanamento delle persone dagli spazi naturali. Potremmo dunque pensare che anche l’usanza dell’allevamento, che si ritiene abbia addirittura preceduto l’invenzione dell’agricoltura, sia remota quasi quanto questa antica convivenza. Alcuni studiosi ipotizzano che l’attività di allevamento sia nata come una naturale evoluzione dell’attività venatoria intrapresa dai nostri antenati. Essi avrebbero, nel corso del tempo, selezionato, più o meno volontariamente, gli animali di più facile gestione imparando a sfruttare a proprio vantaggio le loro particolarità. Così facendo l’uomo é riuscito ad assicurarsi riserve di carne, latte e uova, ma anche pellicce ed ossa per fabbricare gli utensili. In maniera analoga, attraverso un’altra selezione effettuata dall’uomo nel corso dei secoli, molto probabilmente del tutto casuale, potrebbe essere spiegata la nascita di diverse razze all’interno di un’unica specie. Utilizzando un esempio, potremo immaginare che la necessità di maggiori quantità di latte bovino abbia portato a prediligere l’allevamento di esemplari che ne fornivano di più, privilegiando dunque una razza piuttosto che l’altra.
È il caso della Razza Marchigiana, selezionata non per produrre latte migliore o in maggiore quantità, ma per ottenere carni qualitativamente superiori e animali dotati di una maggiore resistenza al lavoro. La storia della razza Marchigiana inizia verso la metà del XIX secolo, quando gli allevatori marchigiani incrociarono il bovino podolico autoctono (derivato dal “Bovino dalle grandi corna” giunto in Italia nel VI secolo d.C.) con tori chianini. L’effetto di questo incrocio fu una trasformazione evidente del bovino: miglior sviluppo muscolare, mantello più chiaro, corna più corte e testa più leggera. Dopo un ulteriore incrocio con la razza Romagnola, avvenuto agli inizi del XX secolo, al fine di abbassare la statura degli animali e rendere la razza adatta al lavoro dei campi, la Marchigiana assunse i caratteri attuali. Ricoperto da un pelo corto, bianco e liscio, con sfumature grigie sulle spalle, l’avambraccio e le occhiature, il bovino Marchigiano si riconosce per la cute pigmentata, la testa possente ma leggera, il collo corto, gibboso nei maschi, con giogaia ridotta e lo sviluppo armonico delle varie regioni somatiche. L’ottima resa della carne e la capacità di adattarsi a terreni di lavoro anche poco agevoli hanno fatto sì che questa particolare razza bovina si diffondesse, dall’Italia Centrale, in tutto il sud Italia ed anche all’esterno (è apprezzata soprattutto in Canada, USA e America Latina). Una delle regioni italiane in cui la razza marchigiana viene maggiormente allevata e apprezzata è proprio la Campania, terra in cui la tradizione dell’allevamento ha una lunga e rinomata storia. Diffuso soprattutto nella Valle dell’Ufita, dove le antiche usanze contadine e pastorali si tramandano ancora oggi intatte o mutate solo marginalmente dall’evoluzione dei tempi, l’allevamento della razza marchigiana si estende fino al territorio del Tammaro nel Beneventano, interessando un’ampia area dove il verde dei pascoli, la qualità dell’aria e la mitezza del clima rappresentano i fattori che maggiormente influenzano quest’attività. Tali elementi pedoclimatici si ritrovano tutti nel piccolo borgo di Casalbore, dove l’antica fortezza normanna, posta a difesa del Regio Tratturo, domina i campi e i pascoli circostanti.
Tutta l’area è disseminata di piccole fattorie e allevamenti dove la cura e l’attenzione riservata ai generosi bovini è pari solo all’amore che i proprietari di queste piccole imprese nutrono per la propria terra di origine. Antonio Corso e Belpiero Antonio, proprietari delle omonime aziende agricole, sono degni esempi di un modello di lavoro rispettoso della natura e dell’uomo. I loro allevamenti di Vitelloni Marchigiani danno origine ad una carne tenera e gustosa, il cui sapore viene influenzato dalle erbe spontanee dei pascoli e dal foraggio coltivato in loco e utilizzato per l’alimentazione degli animali. Così facendo, questi lungimiranti imprenditori hanno saputo valorizzare un patrimonio ambientale di straordinario valore, unendo l’antico saper fare all’uso dei più moderni risultati della ricerca e dell’innovazione, dando vita a prodotti inimitabili, espressione della più alta qualità, ricchi di gusto e inscindibilmente legati al territorio che li esprime, così come lo sono la sua cultura e la sua storia. Controllando costantemente il processo di crescita degli animali (poiché una crescita rallentata porterebbe ad un incremento eccessivo dei tessuti connettivi dell’animale con conseguente indurimento della carne, mentre una crescita accelerata conduce all’accumulo di grasso nelle fibre muscolari) e scegliendo il momento più opportuno per la macellazione (solitamente tra i 16 e i 20 mesi) si ottiene una carne tenera e succulenta da assaporare nei più svariati modi. Grigliata o alla brace, tagliata a straccetti o arrostita, la carne di Marchigiana è un secondo invitante, ancor più se accompagnato da verdure di stagione o dagli ottimi formaggi irpini, come il Pecorino di Laticauda o il Caciocavallo Podolico. Ma intrigante è anche il suo accostamento ai primi piatti, come ingrediente di sughi saporiti, ideali per esaltare la pasta fatta in casa, tradizione ancora viva in Irpinia e in tutta l’area di produzione della Marchigiana. Un ottimo accompagnamento a queste irresistibili pietanze è sicuramente un robusto vino del Fortore beneventano, dal colore rosso rubino e dal profumo intenso, o anche un pregiato Taurasi DOCG, dal sapore intenso, pieno e armonico e dall’aroma coinvolgente.