Villa Literno deve la sua fama (antica) al soggiorno di Scipione l’Africano, il quale, allontanatosi dalla vita politica della capitale, vi si rifugiò esule in una villa fortificata dimorando, fino alla fine dei suoi giorni intorno al 183 a. C..

Scipione l’Africano, il vincitore di Annibale a Zama, l’eroe romano della Seconda Guerra Punica, un personaggio che ha condizionato senz’altro il corso della Storia, riposerebbe sulla nostra terra, quella campana.

Ti scrivo mentre me ne sto in riposo proprio nella villa di Scipione l’Africano, dopo aver reso onore al suo spirito e all’ara che – immagino – è il sepolcro di un cos’ grande uomo.  (Seneca)

La moderna Villa Literno è registrata per la prima volta in un documento del 703 d. C.: il complesso cittadino sorge in un’area devastata dalle incursioni barbariche, resa malsana e malarica dalla presenza di numerosi paludi. A tal ragione, essenziali furono le bonifiche avviate dal 1539 dal viceré spagnolo don Pedro di Toledo, riprese più volte nel corso dei secoli a venire. La cinquecentesca chiesa di Santa Maria del Pantano, meta di pellegrinaggi, la cappella della Madonna della Pietà, risalente al XIX secolo: questo è quello che può vantare il patrimonio storico-artistico locale.

Il toponimo si deve all’antico e importante insediamento romano di Liternum, che sorgeva nei pressi, e il quale apparteneva un tempo ai domini di Cuma (infatti il nome è di origine greca). Il territorio era abitato già in epoca preistorica e, in seguito, da popolazioni di stirpe osca che, quasi certamente, diedero origine ad una colonia, estesa poi dai romani che nel 194 a.C. vi fondarono, appunto, Liternum. La città si trovava sulla sponda meridionale del Lago di Patria (detto allora Literna Palus) dove sfociava il fiume Clanis. La colonia fu assegnata ad alcuni veterani della seconda guerra punica: la città deve la sua fama (antica) al soggiorno di Scipione l’Africano maggiore, il quale, allontanatosi dalla vita politica della capitale, vi si rifugiò esule in una villa fortificata dimorando, secondo la tradizione, fino alla fine dei suoi giorni intorno al 183 a. C..

Battaglia di Zama

Publio Cornelio Scipione era nato a Roma nel 235 a. C.; il suo nome è rimasto impresso nei millenni, ed è inevitabilmente legato alla vittoria sull’esercito cartaginese di Annibale durante la seconda guerra punica, nella battaglia di Zama (suolo africano) nel 202 a. C.: a questo trionfo deve il suo appellativo, “Africano”. Scipione decretò così la resa di Cartagine, ponendo fine ad un importante capitolo della storia del Mediterraneo, e aprendone, necessariamente un altro, per Roma e l’intero mondo allora conosciuto.

Quando poi i romani, sotto la guida di Scipione l’Africano, che aveva in precedenza conquistato la Spagna, scatenarono un’offensiva e dalla Sicilia sbarcarono in Africa, Annibale dovette abbandonare l’Italia. Nella decisiva battaglia presso Zama nel 202 a. C. egli fu sconfitto dal suo avversario. (Klaus Bringmann)

Rientrò a Roma nel 201, fu censore nel 199 e nel 194 rieletto console, carica già rivestita nel 205; nel 190, durante il consolato del fratello Lucio, fu consigliere tattico nella guerra contro il seleucide Antioco III, che ebbe termine con la sconfitta dell’esercito siriaco a Magnesia, in Asia Minore. Tornato nella capitale, fu accusato dal suo avversario politico Marco Porcio Catone di aver accettato denaro da Antioco, subendo così un processo. Assolto da tutte le accuse, si ritirò dalla vita pubblica e visse da allora nella sua villa a Literno.

Solo, egli doveva ormai vivere e morire, fra i suoi veterani, nella città più triste, più solitaria della Campania, nel campo che gli era stato assegnato nella ripartizione delle terre della colonia, nella sua casa di campagna muta e severa come una fortezza, discosto dalle mura della città; solo, con i suoi ricordi, innanzi all’ampia curva del litorale, e sul limitare del Mediterraneo che egli aveva guadagnato dall’una e dall’altra sponda all’impero di Roma. (Amedeo Maiuri)

Quindi, la villa di Scipione e la sua tomba, furono i monumenti e le attrattive più notevoli dell’antica Liternum. Una casa di campagna che è ben delineata dalle parole di Seneca.

Vidi la villa costruita in blocchi squadrati, i muri nascosti dal bosco e le torri erette a difesa sui due lati della villa; una cisterna celata da edifici e da piante che avrebbe potuto bastare anche a un intero esercito; un bagno angusto e buio secondo l’antico costume.

Successivamente la villa sarebbe appartenuta a un liberto, Vetulenus Aegialus, che Plinio il Vecchio rammenta come uno dei più celebri viticultori della Campania. Naturalmente, la collocazione della “spartana” casa di Scipione non è nota né precisabile, dato che nessuna delle fonti a nostra disposizione offre il minimo indizio.

L’iscrizione che, stando a quanto tramandato dagli autori antichi, l’Africano fece incidere sulla sua tomba così asseriva: INGRATA PATRIA, NE OSSA QUIDEM MEA HABEAS, ovvero, patria ingrata, non avrai le mie ossa. Il monumento era ornato da una statua poi distrutta in seguito ad una tempesta al tempo di Augusto.

Parco Archeologico, Villa Literno

Liternum ebbe un considerevole sviluppo in epoca augustea, specie tra la fine del I ed il II secolo d.C., grazie alla realizzazione della Via Domitiana che, partendo da Sinuessa (nel territorio dell’odierna Mondragone), la congiungeva con i centri della costa campana ed in particolare con il porto di Puteoli, l’odierna Pozzuoli, dove la strada ultimava. A partire dalla tarda età imperiale subì un progressivo abbandono. Dopo il IV secolo, a seguito di alluvioni e alcune invasioni barbariche la popolazione superstite migrò verso l’attuale centro storico di Giugliano. Nel Medioevo la pianura intorno a Liternum divenne luogo di insediamento da parte dei monaci Benedettini. Nel 1932 furono portati alla luce alcuni resti dell’antica città relativi al Foro, il Capitolium, la Basilica ed il Teatro, e l’Ara di Scipione l’Africano. Al di fuori delle mura cittadine sono stati individuati residui dell’anfiteatro e la necropoli con la maggior parte delle sepolture di epoca imperiale.

Nel foro, una piazza a pianta rettangolare, un altare di tufo reca apposta l’iscrizione che il poeta Ennio compose per il sepolcro dell’Africano:

HIC EST ILLE CUI NEMO CIVIS NEVE HOSTIS / QUIVIT PRO FACTIS REDDERE OPIS PRETIUM

Ovvero,

Qui è sepolto colui al quale né cittadino né nemico seppe rendere prezzo adeguato all’opera sua.

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