Il 25 aprile è uscito il primo disco del cantautore campano LePuc: il suo nome è “Io Secondo Woody” ed è stato registrato presso il Sanità Music Studio

Giacomo Palombino, in arte LePuc, dopo l’uscita del suo EP Lucciole nel febbraio 2016, ritorna nella sala di registrazione e pubblica il suo primo disco, di genere indieIo Secondo Woody. Il tutto è avvenuto nel Sanità Music Studio con la collaborazione di Luciano e Tiziano Cicero, Salvatore Carlino, Enrico Valanzuolo e Francesco Fabiani.
Il nome d’arte di Palombino è nato casualmente in Spagna, dove l’artista si trovava per il progetto Erasmus. Ogni lunedì suonava all’open mic del Savor, dove ci si poteva esibire segnando il proprio nome su una lista. A presentare la serata era Koji, un poeta giapponese che, leggendo “Giacomo” sull’elenco dei partecipanti, lo chiamava sul palco citando i celebri Leopardi e Puccini. Così, per gioco, fondendo i due cognomi è nato LePuc.

Copertina “Io Secondo Woody”, LePuc

La prima traccia dell’album s’intitola Guarda Che So Fare, dalla melodia molto semplice in cui prevalgono chitarra e tromba, dove ci si domanda come ci si possa liberare di una scusa quando ancora non si è trovata un’altra faccia da indossare (citando il testo): nulla di particolare od originale da sottolineare in merito. Alla fine di questo interrogativo si passa a Camilla Non Ci Ucciderà, dove il sound è ancor più semplice della canzone precedente, risultando, anzi, monotono continuando col suo ascolto. Nemmeno il testo colpisce, da ritenersi frivolo. In La Goccia di Pioggia invece, finalmente, c’è un leggero miglioramento con la presenza di un ritmo più incalzante, dove viene dedicato un pensiero ad ogni cosa della quotidianità, dalla più banale come i parenti che si salutano e non si conoscono alla più importante come la politica e tutte le sue facce. Non è entusiasmante, ma almeno il ritmo la rende gradevole all’orecchio. Segue a ciò la storia di Un Bastone che gira l’Europa accompagnando la più disparata gente tra le strade del vecchio continente. Tranquilla, molto semplice.

La quinta traccia del disco si chiama Il Cappello del Pirata ed è, in poche parole, un viaggio al tempo dell’infanzia, ricordando i giorni in cui scalare una montagna col pensiero o volare non erano di certo idee malsane. A seguire Bicchieri di Carta, che nasce dalla storia di un amore finito, raccontata anche dalla voce limpida di Federica Vezzo che ne rende più gradevole l’ascolto, divenendo l’aspetto migliore del pezzo. Ancora un’altra canzone sulla quotidianità: si chiama Cartoline e presenta una melodia non molto diversa dai precedenti singoli. Ne sono rimaste altre quattro: I Baci D’Estate, Il Mio Amico Fausto, Mario e Ricordami di Me e l’unica a suscitare un po’ d’interesse è la penultima, che tratta di un uomo distrutto dalle ingiustizie della società. Le speranze riposte nell’ultimo brano purtroppo non sono state soddisfatte: inconsistente, troppo banale e puerile.

Arrivati alla fine del suo ascolto, di quest’album si possono dire varie cose: è eccessivamente monotono, piattezza talvolta aggirata da cambi di ritmo e dalla collaborazione con altre voci, ma nel complesso presente, sia riguardo i temi trattati sia riguardo la melodia; i testi non sono accattivanti, peccano di frivolezza e banalità, che abbassano nettamente il livello del prodotto nel suo complesso; triste da notare, infine, è come nessuna delle canzoni presentate lasci una sensazione particolare in chi l’ascolta: né disgusto né entusiasmo, nulla che abbia un certo rilievo. A suo favore si può far notare la spensieratezza che esso porta alla mente, ma questo da solo non basta per far sentire soddisfatto l’ascoltatore.

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