Torna a Flumeri, in provincia di Avellino, l’appuntamento con l’alzata del giglio in onore di San Rocco in programma il prossimo 8 agosto ore 17.30.
Si tratta di una manifestazione di arte popolare che si tramanda da generazioni in occasione della festa di San Rocco, come segno di devozione verso il santo protettore del paese irpino. È l’alzata del giglio di grano, una delle tradizioni più antiche della Campania. Anticamente il giglio era dedicato alla dea Cerere ed era legato a riti caratterizzati dall’offerta di prodotti della terra. La parola Giglio significa proprio “Offerta di primizie”. In quel tempo il Giglio non era altro che una particolare confezione, un modo caratteristico di presentare il dono. Nell’ultima giornata della mietitura, si prendeva da ogni campo una “gregna lunga” cioè un Giglio, si poneva in testa ad una donna e si portava, tra suoni e balli, al tempio, in segno di riconoscenza verso la dea e per ringraziarla del buon raccolto.
Nel 1600 a causa della peste ci fu un terribile calo demografico per cui i flumeresi sentirono il bisogno di votarsi a San Rocco per proteggerli dagli affanni e dalle pestilenze. Un aneddoto spiega il motivo per cui il Giglio è stato dedicato a San Rocco: un tale Rocco Maglione in un viaggio ad Ariano Irpino s’imbattè in un uomo che dal Campo Comune guardava verso il paese. Maglione chiese allo strano visitatore la sua presenza lì e gli fu risposto “sono a guardia di questo paese e dei suoi abitanti”.
Quest’aneddoto spiega il motivo per cui il Giglio è stato dedicato al Santo Taumaturgo di Montpellier.
Nel secolo XIX, i covoni cominciarono ad essere lavorati in paese da volenterosi ricompensati con pasti caldi preparati dalla Congrega di San Rocco. Lo scopo era quello di formare un unico Giglio simbolo dell’unità della collettività e della riconoscenza verso il Santo per il buon raccolto e per la protezione avuta contro le calamità naturali.
All’inizio del novecento la preparazione del Giglio cambiò. La costruzione, infatti, si progettava già all’inizio della primavera con l’accurata ricerca di un albero che generalmente era un ciliegio o un pioppo, sul quale erano montate le gregne. Nel mese di luglio l’albero, precedentemente individuato, era tagliato e trasportato al Campo Comune, dove si ammucchiavano i covoni. Nel campo gli uomini ripulivano il tronco dell’albero dai rami, lo sistemavano sulla carretta e lo legavano con robuste funi di canapa per fargli mantenere la posizione verticale durante il trasporto.
Le donne, invece, preparavano i mazzetti di spighe (matte’l) e le catene che avrebbero ornato il Giglio. Nei primi giorni di agosto si cominciava la vestizione delle parti più alte con i matte’l e poi seguiva l’alzata e la vestizione della parte inferiore con le trecce fino a coprire tutto il carro ad eccezione del timone. Finita la vestizione, si cominciava la gara fra i contadini per ottenere il privilegio di offrire la coppia di buoi per il trasporto, che avveniva, il pomeriggio del giorno di ferragosto.
Agli inizi degli anni ottanta è stata modificata la struttura portante del Giglio. Oggi il giglio è un castelletto di travi di legno che raggiunge un’altezza di 30 metri e ogni anno è ricoperto da pannelli diversi. I covoni vengono raccolti tra giugno e luglio e si depositano a Campo Comune dove verranno lavorati. I carristi iniziano a montare il giglio mentre le donne raggruppano le spighe per grandezza, forma e colore per metterle al macero e poi intrecciare catene destinate a decorare il Giglio. La cerimonia dell’alzata precede la traslazione che avviene il 15 agosto. La fatica finisce nel momento in cui le ruote del giglio assumono posizione orizzontale.
Il Giglio, però, ha conservato la sua autenticità tradizionale, anche se, ogni anno, la forma dei pannelli è modificata per esigenze legate al rinnovamento estetico. La raccolta e la lavorazione dei covoni rimangono invariate.