I tratturi, la transumanza, I Pastori e Santa Croce del Sannio. Un pizzico di storia del passato per ricordare le nostre radici e scoprire le origini della nostra tradizione
I tratturi, ispirazione per un grande della nostra letteratura che compose così la suggestiva e celebre poesia I Pastori:
… E vanno pel tratturo antico
al piano quasi per un erbai fiume silente
su le vestigia degli antichi padri …
(G. D’ Annunzio, I Pastori)
Adagiata nell’Appennino sannita, alla sinistra del medio corso del fiume Tammaro e all’estremità della provincia beneventana, Santa Croce del Sannio era già nota in epoca romana come luogo di sosta lungo l’antica via Minucia. La via Minucia era un percorso parallelo alla via Appia, alla via Latina Casilina ed alla via litorale adriatico. Fu citata da Cicerone (106 – 43 a.C.), da Orazio (65 – 8 a.C.) e da Strabone (60 a.C. – c. 20 d.C.) che scrisse:
Ci sono due vie che partono da Brendesion: la prima è una mulattiera che passa attraverso il territorio dei Peucezi chiamati Pedicli e poi attraverso quello dei Dauni e dei Sanniti fino a giungere a Beneventum. Su questa via c’è la città di Egnatia e poi Celia, Netium, Canusium ed Herdonia. L’altra via, passa per Taranto, volge un po’ verso sinistra, allungando l’itinerario di circa un giorno. È chiamata via Appia ed è maggiormente praticabile per i carri.
La prima, ricordata da Strabone come una mulattiera era la via Minucia che oggi si identifica con la S.S. Appulo Sannita, la quale fu disegnata nella Tabula Peutingeriana (Itineraria picta/dipinto) le cui edizioni furono stimate all’anno 170 ed all’anno 365.
Torniamo alla nostra Santa Croce: il toponimo compare in alcuni diplomi stilati nell’VIII secolo d. C. come Casale Sanctae Crucis. Nel 762 fu poi assegnata dal re longobardo Desiderio ai monaci dell’abbazia di Montecassino; in seguito, dopo essere stata sottoposta all’autorità amministrativa di Boiano, fu concessa in feudo da Guglielmo I a Rodolfo Alemagno, che ne fece suo possesso dal 1172 al 1183. Prima di far parte della provincia di Benevento, dopo l’Unità d’Italia, appartenne dapprima a quella di Capitanata e poi a quella di Campobasso.
Santa Croce fu una delle diverse stationes lungo le strade dei vecchi tratturi, ovvero le transumanze invernali delle greggi che scendevano dai monti dell’Abruzzo e del Molise percorrendo le antichissime piste.
Il nome tratturo appare per la prima volta nel corso degli ultimi secoli dell’impero romano come deformazione fonetica del termine latino tractoria, vocabolo che nei Codici di Teodosio (401-460) e di Giustiniano (482-565), indicava il privilegio dell’uso gratuito del suolo di proprietà dello stato e che venne impiegato per i pastori della transumanza. La transumanza, ovvero lo spostamento stagionale delle greggi dai pascoli estivi della montagna a quelli invernali in pianura, ha costituito, nella realtà storica, un fenomeno molto complesso che ha interessato diversi aspetti della vita e della cultura. Sorta come migrazione spontanea degli animali che seguivano i pascoli più verdi, divenne nel IV sec. A. C. un fenomeno gestito e controllato da un popolo: I Sanniti.
Nel Sannio il tratturo determinò un’ampia arteria tracciata dal passaggio delle greggi e degli armenti che prima dell’inverno scendevano dai monti e procedevano verso la Puglia, da cui facevano ritorno prima dell’estate seguente. Il tratturo entrava nel territorio beneventano attraversando il passo di Serravessilli, oltrepassando la Murgia delle Fate a sud di San Giorgio la Molara, superando i torrenti Drago e Tammaricchio alle loro confluenze col Tammaro, passava sotto Reino, lasciando a destra Circello e a sinistra Santa Croce del Sannio e a nord di Sassinoro varcava il Molise.
Grande via di passaggio delle greggi, per lo sverno, dall’Abruzzo aquilano e dai pascoli dell’Appennino sannitico giù nella pianura pugliese e oltre, verso la Calabria; in Sicilia è chiamato trazzera. Si tratta di larghe piste, con fondo naturale, terroso o pietroso, demarcate dalle greggi nel loro periodico spostarsi; hanno larghezza di 3-4 m circa, a seconda delle regioni e delle condizioni del territorio attraversato. Sono rappresentate con segni particolari sulle carte topografiche. (Enciclopedia Treccani)
Lo sfruttamento dei pascoli montani per l’allevamento del bestiame ha origini lontane. Con i Sanniti, l’antica civiltà insediata in territori che attualmente ricadono nelle province di Benevento, Avellino, Isernia, Campobasso, L’Aquila, i Tratturi divennero essenziali anche per l’economia, tant’è che molti centri e fortificazioni sorgono proprio lungo il loro percorso. I Romani poi ne fecero un vero e proprio sistema “produttivo” efficiente e strategico, comprendendo l’enorme ricchezza derivante dalla pastorizia, si pensi al termine pecunia (denaro) deriva proprio dal latino pecus, ossia pecora. La prima vera istituzione ufficiale dei tratturi viene regolata, però, solo nel tardo Medioevo, da Alfonso I d’Aragona che, nel 1447, istituisce la Regia dogana della mena delle pecore, indirizzata a regolamentare la riscossione dei proventi derivanti dal passaggio e dal pascolo dei pastori le cui greggi svernavano in Puglia. All’epoca aragonese (1574), invece, datiamo le prime pose in opera di termini lapidei per la demarcazione dei confine con i privati e del percorso dei tratturi. La fine della “civiltà della transumanza” può essere idealmente collocata nel 1806 quando Giuseppe Bonaparte abolisce la dogana trasformando i Tratturi in terreni coltivabili. Sebbene questo atto formale, però, la transumanza appenninica è seguitata fino agli anni ’60-’70 dello scorso secolo. Tracce di questa antica e bucolica attività sono ancora ad ora custodite nella memoria delle popolazioni di molti centri rurali attraversati dai tratturi.
La transumanza era un itinerario fondato sullo spostamento delle greggi lungo i tratturi per conseguire un certo ritmo esistenziale i cui presupposti erano essenzialmente sociali e le cui finalità potevano essere prettamente economiche (Raffaele Colapietra).
Ma i tratturi ebbero anche un’altra funzione:
Con la sua immensità placava le ansie degli uomini e degli animali e restituiva a tutti tranquillità e sicurezza, sia pure basate sulla lentezza e sul pigro trascorrere del tempo che aveva, come unica variante, il continuo cambiamento di paesaggio e il continuo sole sorgente e sole calante sempre diverso nei più diversi orizzonti e con le più diverse emozioni. (Ignazio Di Marco)
I monti, i boschi le valli, le pianure, i pascoli, gli stazzi, i fiumi, le fiere e i santuari: momenti vivi di una società pastorale. Nella civiltà transumante, la fede, la natura e l’economia costituivano un progresso fitto e intenso, del quale la storia dona la chiave, ma le strade costituiscono l’imprescindibile premessa.
Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
(G. D’ Annunzio, I Pastori)