Tre libri campani, tre proposte da leggere l’estate prossima o, come sarebbe preferibile, da adesso in poi
In estate il numero di lettori aumenta. Certo, sarebbe auspicabile ritagliarsi durante tutto l’anno il tempo per fare ciò che si ama, lettura compresa. È inevitabile, però, che durante le vacanze il tempo a disposizione aumenti fisiologicamente. Con l’augurio che (campani o meno) quelli sotto l’ombrellone non siano gli unici libri dell’anno, vi consiglio tre letture che mi hanno tenuto compagnia quest’estate.
Paolo Sorrentino, Hanno tutti ragione. Tony Pagoda, il protagonista, è un cantante napoletano di successo. La sua vita estrema diventa la lente di ingrandimento sulle miserie e sugli splendori dell’Italia degli ultimi decenni, con un occhio costantemente puntato su Napoli. Avendo maturato un bagaglio inimmaginabile di esperienze, Pagoda si lascia andare a un’infinità di racconti e snocciola la sua saggezza di vita vissuta e interpretata. Personalmente, non sono riuscito a non sovrapporre l’immagine del protagonista a quella di Tony Servillo. Non credo sia un problema.
Mario De Simone, Tarantella nera. Un giovane studente napoletano perso in un baratro di droga, violenza e complessi personali. Il tutto, ovviamente, all’interno di una Napoli che nutre con la propria essenza le aberrazioni e le speranze dei suoi figli. Il suo punto di vista diventa un’inquadratura insolita e straniante sulla camorra e su tutti i lati oscuri delle metropoli e degli uomini che le abitano. Redenzione? Chissà, leggetelo. Veramente una piacevole scoperta.
Matilde Serao, Il ventre di Napoli. Questo, per la verità, l’avevo già letto tempo fa. Dopo aver letto diversi libri che parlano di Napoli, ho sentito il bisogno di rileggerlo. La stessa Serao aggiunse una parte nel 1904, vent’anni dopo la stesura della prima. Ci sono dei meccanismi che in qualche modo diventano una matrice per produrre i libri napoletani. Da un lato abbiamo questo vulcano che erutta immagini sempre diverse, la città di Napoli. Dall’altro, un autore che compie lo sforzo di andare oltre le concrezioni stereotipate accumulatesi nel tempo e cerca di restituire al lettore un’altra verità. Ma c’è (quasi) sempre una pulsione di speranza leopardiana a colorare il finale. Accadeva già con la Serao. Ne siamo coscienti, è molto inquietante, ma non possiamo farne a meno.