Belletti & Profumi a PompeiCon la riapertura della domus del profumiere tornano dal passato la “rosa di Pompei” e le essenze odorifere con le quali si producevano creme e profumiCarlo Avvisati

Rose, viole, ciliegi, meli cotogni, olivi, viti: dopo venti secoli, rivive a Pompei il “Giardino di Ercole”, o “Casa del profumiere”, ovvero quel fabbricato con annesso giardino in cui gli archeologi, vuoi per la coltivazione delle essenze di base dei profumi, come i fiori e la frutta, vuoi per la produzione degli elementi estrattivi degli aromi quali l’olio e il vino, hanno riconosciuto le caratteristiche di un’azienda vocata alla produzione di creme e profumi. La sistemazione del terreno, in cui sono state messe a dimora ottocento rose antichemilleduecento viole, mille  piante di ruscus, oltre a ciliegi, viti e meli cotogni, oltre a quello del fabbricato,  è stata resa possibile dalla sponsorizzazione dell’intervento da parte dell’Associazione “RosaAntiqua” dell’ingegnere Michele Fiorenza, mecenate che da almeno un ventennio sostiene studi e ricerche archeo botaniche sulla rosa antica di Pompei e sulla possibilità di reintrodurla negli stessi giardini pompeiani nei quali fioriva rigogliosa sino al 79 dopo Cristo.

Difatti, una ricerca, datata a una decina di anni fa, portò a individuare le caratteristiche della “rosa antica” pompeiana quale fiore “profumato, rifiorente, a fiore doppio e ricco di trentasei petali” come emerse dallo studio selezione messo in campo dal Parco archeologico di Pompei e dal Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II. Indagini, sostenute dall’Associazione “RosaAntiqua” di Fiorenza, che videro gli scienziati lavorare anche sui reperti ancora esistenti di questa tipologia di rose. Per gli studiosi che allora lavorarono al progetto questa rosa dovrebbe avere caratteristiche di colore e “petalosità” del tutto simili a quelle raffigurate nelle pitture che impreziosiscono le pareti delle domus pompeiane più belle. La ricerca, fondata su indagini di archeobotanica per specie antiche coltivate nell’area pompeiana, oltre che su un’accurata analisi genica e di comparazione tra le varietà e le specie di rose rinvenute e conservate presso gli Orti botanici, i cimiteri monumentali campani e negli erbari antichi italiani, evidenziò che a Pompei non si ha a che fare con una specifica rosa ma con un gruppo di piante che comprende sia specie spontanee sia varietà o ibridi.

Tra questi ultimi, secondo i ricercatori, la «rosa rossa a fiore doppio» appare essere quella più raffigurata nelle rappresentazioni o nei richiami degli autori classici. E dunque, grazie a “RosaAntiqua” ecco che nell’Insula 8,6 della Regio II,  la casa del Profumiere, o Giardino di Ercole da una statuina del semidio trovata in una edicola in fondo al giardino, allorché tra gli anni Cinquanta e Ottanta del secolo passato il complesso venne sottoposto a scavi, studi e ricerche, rivive in tutte le sue caratteristiche. La ripiantumazione delle specie è stata resa possibile grazie agli studi e all’elenco di resti vegetali, come pollini e spore o radici di viti e olivi che, negli anni Cinquanta del secolo passato, venne compilato dalla botanica americana Wilhelmina Feemster Jashemski, la scienziata che, assieme al marito, lavorò a Pompei e Ercolano portando a termine una serie di ricerche dirette a individuare e catalogare le tracce delle specie vegetali rimaste sotterrate da cenere e lapilli. Nella casa, al momento dello scavo, vennero trovati, attorno al triclinio all’aperto, numerosi oggetti d’oro e monete, ancora d’oro, forse il risultato   della “decima” ovvero l’offerta che profumieri e fiorai pompeiani facevano al dio Ercole durante feste e banchetti, per il buon andamento dei loro affari. Oltre, ovviamente, a numerosi contenitori di profumo, in vetro e terracotta, rinvenuti sparsi un poco dappertutto, interi o frantumati. Il procedimento di produzione dei profumi era abbastanza semplice: i fiori o le altre specie aromatiche venivano posti a macerare nell’olio extra vergine, raffinato e depurato al massimo degli elementi grassi, che estraeva le molecole di base del profumo. Secondo alcuni studiosi, le donne pompeiane usavano il Rhodium, ottenuto da rose, mirra e incenso; il MirtumLaurum, ricavato da lauro, mirto, mirra e gigli; il Susinum, ottenuto con i gigli e il miele, mirra e zafferano; l’Illirium, con giglio, alloro e olio di mirto; il Melinon, con maggiorana, mandorle amare, mele cotogne e foglie di viti; lo Iasminum ricavato dal gelsomino.

«A Pompei il paesaggio naturale e archeologico sono un tutt’uno – ha affermato Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco – Questa fusione naturale lo era in antico ed è  tornata ad esserlo oggi, grazie ai progetti di cura delle aree verdi del Parco, che hanno restituito e valorizzato questa commistione. Questo giardino mi ha fatto ricordare l’inizio delle Georgiche dove il poeta dice: che cosa fa sorridere i campi? Ecco, far sorridere i campi è quello che vediamo oggi, qui e a Pompei.»

«È stato un grande onore – ha detto dal canto suo Michele Fiorenza – per noi lavorare in questo posto magico… dove anche piccoli progetti come questo diventano delle opere d’arte.»

La ricostruzione filologica della casa del Profumiere ha visto la collaborazione scientifica di Antonio De Simone e Salvatore Ciro Nappo, per gli aspetti archeologici; di Michele Borgongino per gli aspetti botanici; di Luigi Frusciante e di Gaetano Di Pasquale del Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II, per gli aspetti agronomici; Raffale Serafino per la direzione dei lavori. Il progetto e i lavori sono stati coordinati dai funzionari del Parco Archeologico di Pompei, dai responsabili del progetto Paolo Mighetto e Maria Rispoli, da Anna Onesti e dall’Area Verde del Parco, Claudia Buonanno, Maurizio Bartolini, Halinka Di Lorenzo.