Viaggiando tra i castelli irpini, rubrica sull’approfondimento delle rocche della provincia di Avellino

Continua la rubrica che vi catapulta attraverso le oltre 70 rocche, fortezze e i castelli di epoca longobarda, normanna o risalenti ad altri periodi presenti sul territorio avellinese. Oggi siamo a Calitri, piccolo comune irpino, per scoprirne il castello. Continuate a seguire il nostro sito per conoscere storie e leggende, di paesaggi e misteri, che caratterizzano un’incantevole provincia.

Questa rubrica è realizzata in collaborazione con la pagina facebook del Museo Dei Castelli di Casalbore.

L’esistenza del Castello di Calitri è accertata intorno al tredicesimo secolo da documenti riferiti ad alcuni interventi di riparazione eseguiti nell’ambito del programma federiciano di rafforzamento e riparazione dei sistemi difensivi appartenenti al demanio imperiale. Durante l’occupazione angioina il “Castrum Calitri” era uno dei circa quaranta castelli esistenti nel giustizierato del “Principato e Terra Beneventana”.
Nel 1304 venne acquistato dai Gesualdo che per tre secoli ne detennero il possesso e lo ampliarono con numerosi interventi di ristrutturazione. Nel XVII secolo il castello passò prima ai Ludovisi e infine ai Mirelli.
Colpito da numerosi eventi sismici, il fortilizio dopo la scossa del 1561 che fece crollare numerosi ambienti e dopo quella del 1694 fu abbandonato dai superstiti della famiglia Mirelli.
Anche gli eventi sismici del XX secolo causarono enormi danni alle rimanenti strutture; i dissesti causati dal terremoto del 1980 hanno compromesso ulteriormente la stabilità dell’area. Questo susseguirsi di catastrofi hanno fatto si che ci restasse ben poco di ciò che un tempo doveva essere il centro difensivo della città di Calitri e quindi ci è difficile avere una chiara idea della passata struttura dell’edificio.
Attualmente l’intera zona del borgo in cui si trova anche il castello è in fase di restauro e ricostruzione; i lavori vanno avanti dagli anni ’90 e infatti, alcuni ambienti sono già fruibili.

L’articolo continua sul sito del Museo Dei Castelli

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