Presentata a Pompei da Zuchtriegel e Giuli la lussuosa dimora in cui è stato di recente trovato il Gran fregio dionisiaco

 

Carlo Avvisati

C’erano già stati i tombaroli, nell’Ottocento, in quel salone con la megalografia dionisiaca trovato, quasi un mese fa, nell’insula X della Regio IX, dagli archeologi del Parco Archeologico di Pompei. Di più. I predatori della storia, all’epoca, non si erano limitati solo a quell’ambiente ma attraverso cunicoli, gallerie, pertugi si erano spostati anche in altre aree. Tanto che, dopo aver trafugato tutte le “mattonelle” che impreziosivano il centro del salone della straordinaria domus avevano anche asportato i marmi e gli arredi che stavano nella vicina terma casalinga. Per fortuna, però, non sono riusciti ad arrivare alle pareti decorate. Sarebbe stato un danno incalcolabile per il patrimonio artistico, culturale e archeologico non solo italiano ma mondiale. Il salone, con quelle tre pareti decorate dal “Gran Fregio” è stato presentato al mondo, oggi, dal direttore del Parco pompeiano, Gabriel Zuchtriegel, alla presenza del Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, che attraverso il Mic, qualche giorno fa, ha stanziato altri trentatré milioni di euro per indagini e restauri necessari al patrimonio archeologico del Parco pompeiano. Ecco, si diceva della megalografia che si sviluppa su tre pareti, visto che al posto della quarta dovette esserci uno splendido giardino. Pareti protette da un magnifico colonnato, sulle quali è rappresentata una scena pittorica più unica che rara. 

Una pittura che si sviluppa su due registri, molto simile a quella di Villa dei Misteri “la quale – come osserva il direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel – aggiunge un altro tema all’immaginario dei rituali iniziatici di Dioniso: la caccia, che viene evocata non solo dalle baccanti cacciatrici, ma anche da un secondo, più piccolo fregio che corre al di sopra di quello con baccanti e satiri: qui sono raffigurati animali vivi e morti, tra cui un cerbiatto e un cinghiale appena sventrato, galli, uccelli vari, ma anche pesci e molluschi”. Un fregio che, dunque, sarebbe possibile datare al II secondo stile pittorico, e risalirebbe al I secolo avanti Cristo. Coevo di quello rinvenuto a Villa dei Misteri, agli inizi del secolo passato. E, verosimilmente, dipinto da artisti della stessa bottega che lavorò alla decorazione di Villa dei Misteri, visto che colori e personaggi in molti casi appaiono simili per sagoma e drappeggi a quelli della più nota domus.  Di più. Da quello che si vede e dalle lacune, anche ampie, nella decorazione, si intuisce che la domus, al 79 dopo Cristo, allorché il Vesuvio esplose, doveva essere in restauro. Un ripristino reso necessario dallo sciame sismico e dai sommovimenti che precedettero l’eruzione, perché nelle aree lacunose gli esperti hanno trovato depositi di cinerite, cosa che indica come quelle aree fossero libere da intonaco e colore e dunque interessate da lavori. A chi sia appartenuta quella domus, poi, non è dato ancora conoscere. Certamente, visto il valore delle decorazioni sino a oggi rinvenute: il salone nero, con scene tratte dalla saga troiana; un sacrario a fondo azzurro con le quattro stagioni e allegorie dell’agricoltura e della pastorizia e, appunto, il grande quartiere termale, il proprietario dovette essere un personaggio di spicco della Pompei del I secolo dopo Cristo. Per saperlo, semmai sarà possibile, serviranno ancora indagini e magari un poco di fortuna: il ritrovamento di un anello con un nome o un graffito, potrebbe essere la chiave di volta per l’attribuzione. Basterà solo aspettare. Pompei non delude mai.

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