A Pagani la grande festa in onore della Madonna del Carmine

Carlo Avvisati 

Le tammorre, le castagnette, e il canto, antico, ancestrale, a risposta. Qualcuno, a mezza mattinata, già balla, nella villa comunale di Pagani, al suono di una fisarmonica e del ritmare delle tammore. Sono ragazzi e ragazze. Non sono di qua. Chissà da dove vengono. E sono appena le undici del mattino. Le undici di una domenica del tutto particolare: quella che arriva dopo la domenica di Pasqua. Una domenica che per Pagani, cittadina del cuore dell’agro nocerino – sarnese è del tutto particolare perché si festeggia “’a Figliola” ovvero la Madonna del Carmine, detta anche “delle Galline”, in quanto la leggenda vuole che siano state delle galline che, mentre “pizzicavano” in un terreno in cerca di cibo, riportarono alla luce un quadro: una tavola di legno sulla quale era raffigurata l’effige della Madonna del Carmelo.

C’è folla, nelle strade del centro storico. Nei vicoli e nei cortili di Casa Marrazzo, di vicoletto Striano, ncoppa a Lamia, i toselli sono già aperti. I paganesi che hanno potuto farlo sono tornati a casa da ogni angolo d’Italia per ritrovare l’aria e il profumo di casa, il calore dei parenti, le pacche sulle spalle degli amici. Gli altri che sono arrivati in città, vengono un poco da tutto l’agro. Ma ci stanno anche napoletani e salernitani e avellinesi che sono venuti a trovare gli amici paganesi e si sono fermati per la festa e per un pranzo fatto come Dio comanda. Gli altoparlanti già da qualche ora mandano per l’aria le voci e i suoni della fede. Qualcuno dei toselli, gli altarini con l’immagine della Figliola é ancora da finire, manca l’ultimo tocco: un fiore, un velo, una tammorra appesa. Tra qualche ora passerà la Madonna e si girerà verso il tosello a benedire chi lo ha costruito con amore e fede. Una volta, c’era chi aspettava il passaggio della “Figliola” per intonare il canto a lei dedicata, quando passava per il vicolo o si girava verso il cortile in cui abitava: Giacchino Moscariello, Franco Tiano, ‘a bbrucata cantavano: “Vi’ comme s’’a sceglia ’a jurnatella soja ’a Figliolaaaa”. Fede, devozione, rispetto per quella “Mamma”.

E qualcuno più osservante nun metteva ’o piatto ’a ttavula prima del passaggio d’’a Maronna. Tagliolini. Rigorosamente conditi con il corposo ragù fatto con la braciola. Una manciata di parmigiano o di saporito e profumato “romano” e il primo era bello che andato, in poche forchettate… e il classico “schizzo” di ragù sulla camicia bianca. E dopo, la braciola, profumata di pepe, la carne arrostita, rigorosamente sui carboni e ‘e ccarcioffole, pure queste arrostite sulla fornacella di famiglia. Carciofi già pronti dal primo mattino o quasi. Alle undici del mattino… chi gira per i vicoli sente solo il profumo dei carciofi che “sudano sapore” sulla brace.

  E quando la nebbiolina profumata si confonde con la cordite delle prime batterie di fuochi che scoppiano, lontano, al passaggio della “Figliola”, allora si capisce che la Festa quella con la “F” maiuscola, è davvero cominciata. E finirà domani, nella prima mattinata del lunedì, quando la “Figliola” torna a casa e le tammore e le castagnette saranno silenziate per dodici mesi. Aspettando una nuova giornata di sole, di canti, di balli, di devozione popolare e di Fede.