I napoletani hanno bisogno di essere il loro miracolo, di smettere di affidarsi al cielo, a San Gennaro o chi per lui, e di iniziare ad essere rivoluzione vera.

Il 19 settembre è passato, sono trascorse abbastanza ore dalla festa per permettermi di fare una riflessione che ritengo importante, o forse più di una. La festa dedicata al Santo Patrono di Napoli, San Gennaro, è terminata, ma ci sono alcuni punti su cui sarebbe bene riflettere.

San Gennaro è il santo che più di tutti tocca due punti cardine del carattere – e dell’anima – dei napoletani: il loro folklore, mai represso, e il loro continuo bisogno “di essere salvati. Ci torneremo a breve.

La festa dedicata al Santo, il “miracolo del sangue” che ogni anno deve sciogliersi come buon auspicio, il grido al miracolo, sono tratti che fanno parte in maniera indelebile dell’anima di ogni cittadino napoletano. Non sono solo un rito, ma un’espressione dell’interiorità di ogni cittadino che, un giorno all’anno – più degli altri -, può uscir fuori. La processione, l’onoranza, è divenuta un carnevale, un misto di sacro e profano, un momento popolare e folkloristico capace di attrarre a sé più curiosi che fedeli, più turisti che praticanti. Eppure, con la giusta devozione, è un momento atteso, un appuntamento fisso in cui il tempo si ferma. Un giorno in cui la città si cristallizza e tutti guardano in alto, alla statua, chiedendo il miracolo.

Ma il miracolo, per Napoli, per le persone, non dovrebbe arrivare da cielo, dal Santo, ma da noi stessi, da ogni singola persona, da ogni individuo, che di per sé dovrebbe essere il proprio miracolo personale.

Cantava Federico Salvatore: “Se io fossi San Gennaro, non sarei così leggero, con i miei napoletani io m’incazzerei davvero”.

Tali parole, a distanza di dieci anni sono ancora attuali. Nonostante i numerosi ed innegabili miglioramenti della città, nonostante la ripresa culturale, l’innovazione, la voglia di riscatto, Napoli e i napoletani hanno ancora bisogno di un miracolo, non per salvarsi dall’esterno, ma per emergere dal silenzio e dalla reclusione che da soli vanno ogni giorno creandosi. Napoli e i napoletani hanno bisogno di miracoli quotidiani, da compiersi ogni giorno per il miglioramento costante della propria realtà, per poter rompere quei muri innalzati all’interno, innalzati verso l’esterno. Quei muri costruiti sulle radici dello stereotipo, della diffidenza, le cui radici non sono colpa della popolazione napoletana – o meglio campana – ma che sulla quale la stessa ha saputo edificare bene. Napoli e i napoletani hanno bisogno di miracoli, di iniziativi, di comprensione e consapevolezza, soprattutto di se stessi, delle proprie potenzialità, della propria forza. Perché il loro cuore ne è pieno.

Napoli e napoletani hanno bisogno di tirar fuori questa forza, per dire no alle ingiustizie quotidiane, alla chiusura, alla criminalità, alla ghettizzazione. Napoli e i napoletani hanno bisogno di abbandonare il classico menefreghismo del “più nero della mezzanotte non può venire”, di abbandonare “l’arte di arrangiarsi”, di abbandonare l’idea dell’accontentarsi. Napoli e i napoletani hanno bisogno di smettere di affidarsi al cielo, ma devono muoversi, essere dinamici, essere rivoluzione. Hanno bisogno di essere il loro miracolo perché solo dall’azione di ogni singolo individuo, nel suo piccolo, il cambiamento può davvero avverarsi.

Allora chiederei a San Gennaro, che un po’ incazzato dovrebbe essere davvero, di fare un solo miracolo, ancora una volta. Chiederei Lui di far sì che Napoli e i napoletani trovino questa forza. Ogni giorno. Sempre.

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