Aspettando le otto e quarantacinque di questa sera 

Carlo Avvisati

Se fossi stato ancora un giornalista, uno buono, uno di quelli che in gergo si chiamano ”titolisti”, stamattina, sul mio giornale, parafrasando Eduardo, e a proposito dell’incontro di calcio ovvero quella che per il Napoli, per Napoli e i napoletani è ’a partita per eccellenza, avrei fatto un titolo a tutta pagina, come quello che avete letto all’inizio di questo pezzo. Se fossi stato ancora un giornalista, uno di quelli che danno del ”Tu” al Direttore. E sempre se fossi stato ancora quello là avrei scritto e detto dell’attesa spasmodica e dei cacciuttielli guaiolanti (si, i cagnolini, che si lamentano) nella panza di ogni tifoso napoletano. Avrei detto di quello che fa una serie di gesti e azioni come: la sedia davanti al televisore deve stare a tre metri di distanza… cchiù vvicino o cchiù lluntano, no!… perché quella volta che stava più verso destra successe na brutta cosa. Sempre senza dire che cosa, però. La lampada sul comodino deve stare accesa anche se ci fosse il sole a mezzogiorno. La chiave masculina del nonno ha dda stà appesa a ccapasotto; il curniciello di corallo rosso deve tenere la punta rivolta verso lo schermo del televisore. La camicia deve essere quella a quadroni… azzurri, e non lavata…  da tre anni. Insomma, tutto secondo un rituale scaramantico sperimentato in anni e anni di amore e passione per… e non lo diciamo che potrebbe portare male.

Avrei scritto di quello che se ne sta in silenzio ”stampa” da stamattina e guarda fisso il cielo, il mare, le nuvole; osserva e scruta quello che si trova trova davanti, in alto, in basso, accanto, cercando un segno che gli dia conforto e certezza di una cosa. Che cosa? Eh… e mmo fosse bello ca io ’o ddicesse. Non si può, non si dice. Nun se pò dicere. Quella è un parola che non uscirà dalla bocca di nessun napoletano che si rispetti. Nun sia maje ca fosse proprio chella parola llà a fare finire il sogno. E certo! Il sogno! Il Neapolitan dream di ogni tifoso che si rispetti.

 

 

Vedete, qualche tempo fa ho già scritto, e ora ve lo riporto pari pari,  che questa benedetta città è “becera, cafona, sporca, brutta, burdellara, delinquente, camorrista, dove muori sulle barelle, dove le zoccole escono dalle saittelle quando piove, e pure quando non piove; dove rischi di pigliarti un paio di botte nella pancia durante una stesa; dove ti scippano gli orecchini mentre stai camminando e ti lasciano il sangue che cola dai lobi delle orecchie. Tutto quello che c’è di male al mondo, Napoli lo rappresenta e lo amplifica ’alla grandeì, come dice il mio amico cantante Gigione. Ma è Napoli. La mia, la tua, la sua, Napoli. La città che quando la vivi e la cammini, la bestemmi tutti i santi giorni … ma se poi ne stai lontano una settimana ti manca come se ti avessero tagliato una mano. E quando ci ritorni la bestemmi di nuovo… ma basta solo la puzza, il rumore, il casino, le voci… e pure il profumo di una pizza a libretto per farti sentire che si, stai a Napoli. che stai campanno. Da Napoletano sporco, brutto, cattivo, ma stai campando. Cosa che sarà, anzi è, una condizione poco umana, ma ti fa sentire vivo. Dite quello che volete, offendete pure. ‘A cca trase e ‘a llà esce. Ci sto male/bene a Napoli: lle mettesse na bomba, ddoje bombe atomiche, sotto… ma se mi sveglio e non vedo il Vesuvio mi sento male; se apro gli occhi e non vedo il mare nun stongo buono; si nun sento ammuina e casino mi pare di essere diventato sordo. Napoli “fa schifo”, è “na zoza”, vero. Ma questo lo posso dire io e gli altri napoletani. Io sono abilitato. Voi, no. Perché se sento uno forestiero che lo dice, me piglio collera e ci intossichiamo la giornata. E questa di adesso è la Giornata con la “G” maiuscola. La giornata che adesso deve passare. Ha dda passà ’a jurnata. Perché da noi, a Napoli, ci sta ancora gente che sogna. A Napoli si sogna ancora e questo sogno non glielo puoi togliere. A Napoli il sogno serve  a ccampà. A Napoli il sogno è come l’aria che se non la tieni…  muori!

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