I marines di Miseno al servizio dell’imperatore

L’antica flotta di Miseno fu e si rese protagonista di alcuni episodi tra i più noti della storia romana. Nel I secolo d. c. i protagonisti di queste imprese, nobili e meno nobili, furono proprio i praefecti, ovvero i fidatissimi comandanti posti alla guida della flotta dall’imperatore.

Sotto Nerone la flotta eseguì un ruolo fondamentale nella lotta dell’imperatore per liberarsi dalla fastidiosissima ipoteca materna e di ogni forma di protezione. Durante gli anni neroniani a capo dei marines di Miseno vi era un ex schiavo imperiale dell’imperatore Claudio: il praefectus Claudius Anicetus. Era stato, per volere di Agrippina, già educatore di un giovane Nerone a partire dal 49 d. c., al qual si legò fortemente. Questa profonda affezione diede la svolta alla sua vita: nel 54 d. c., divenuto imperatore, Nerone lo elevò a comandante in capo della flotta di Miseno. Valorizzato da Agrippina durante il suo periodo da istruttore di Nerone, Aniceto durante il suo nuovo mandato fu grato solo all’imperatore, proprio nello stile di quella carica. E la scelta di Aniceto non fu casuale: quell’incarico prevedeva grandi responsabilità, piena fiducia dell’imperatore, disponibilità assoluta del praefectus e dei marines a eseguire qualsiasi tipo di ordine.

Nerone volle emanciparsi definitivamente ormai giunto al punto di non ritorno nel tollerare l’imposizione materna, e per conquistare il potere assoluto non c’era di meglio che affidarsi ai servigi dei migliori e dei più fidati uomini di tutto l’impero. Nerone non poté affidarsi né ai pretoriani, legati a tutti i membri della famiglia e della dinastia giulio-claudia, né alle truppe regolari: nel 59 d. c. a sbarazzarsi di Agrippina ci pensarono i marines di Miseno e il loro comandante, Aniceto. Il comandante della flotta, tratto dalla vita di corte, dedito agli studi, tutto tranne che militare, in quanto a dedizione e coraggio ne ebbe da vendere al punto che decise di assumersi una responsabilità che neanche Seneca e Burro, ministri dell’imperatore, furono in grado di sobbarcarsi.

La flotta fu protagonista nel tranello della finta disgrazia su di una nave che trasportava Agrippina. Il piano riuscì solo in parte. La donna gettatasi in mare, si mise in salvo nuotando sino a Baia. E qui che il primo uomo della flotta misenate decise di agire in prima persona: si presentò nella villa dove si era rifugiata Agrippina, e con l’aiuto di un centurione e di un trierarco la uccisero.

Stessa sorte toccò all’ex moglie di Nerone, Ottavia. Nel 62 d. c. fu ancora una volta Aniceto a non potersi tirare indietro: accusata ingiustamente di adulterio, la donna fu prima condannata all’esilio, poi raggiunta sull’isola di Pandataria (Ventotene) dai marines misenati e eliminata.

Ma in questi anni la flotta si distinse anche per gesta più nobili ed eroiche.
Nel 65 d. c. Nerone dovrà la sua vita proprio alla flotta misenate. Quello fu l’anno della congiura Pisoniana, mossa blandamente da Pisone e un gran numero di uomini e donne uniti dall’odio contro l’imperatore, ma privi di un vero ideale politico. L’errore che costò caro ai congiurati fu quello di provare a coinvolgere i marines di Miseno, che, invece di accettare la proposta, dimostrarono la loro immensa fedeltà a Nerone denunciandogli quanto stava accadendo. Il resto, al momento della resa dei conti, lo fecero i pisoniani accusandosi l’un l’altro.

Concludo con un episodio che dà grande lustro a quei coraggiosi marinai. Durante la praefectura di Plinius Secundus, l’enciclopedista, fedele collaboratore di Vespasiano, vi fu la famosissima eruzione del Vesuvio del 79 d. c..

La flotta misenate ebbe la speciale ventura delle operazioni di salvataggio delle popolazioni vesuviane. Il praefectus mise a loro disposizione le quadriremi della flotta, mentre lui stesso sbarcava a Stabia per rendersi conto del fenomeno eccezionale dell’eruzione. E vi restò soffocato. Non conosciamo l’entità del salvataggio, perché presso la costa Vesuviana a causa del vulcanismo si era sollevato il fondo marino, creando una prima secca prima ancora del litorale, cioè una barriera capace d’impedire il passaggio delle navi. Ma queste dovettero servire a qualcosa di utile, se gli scavi moderni hanno potuto accertare per Pompei la morte di non oltre 2.000 persone, tra schiavi incatenati e ladri sopravvenuti alle macerie, su circa 10.000 abitanti. Il che mostra riuscita la fuga, che fu per terra, ma anche per mare, con l’aiuto sollecito delle navi di Miseno.

Fonti:

Vito A. Sirago, Funzione politica della flotta misenate, in PVTEOLI STVDI DI STORIA ANTICA VII – VIII, MCMLXXXIII – MCMLXXXIV.

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