Breve storia alla scoperta del Mann, un Museo che coniuga la Campania al mondo

Un juste hommage rendu par une Nation net dans siècle éclairé à ces beaux ui nous ont été tranmis, et dont l’éclat a donné un nouveau luster à l’Italie et l’Europe moderne.

Così si espresse due secoli fa l’abate Saint-Non durante i giorni del suo Grand Tour italiano allorché descrisse il progetto del nuovo Museo che il re di Napoli stava allora promuovendo.
Oggi il Mann non è più di certo il museo dinastico dove far confluire, quasi a simboleggiare il potere assoluto del suo sovrano, le ricchezze e le antichità del Regno, e d’altronde ha perso da tempo quel tocco di accademico e presuntuoso che ebbe per conquistare rinnovata dimestichezza con i napoletani, il che si deve senz’altro ad una stagione di nuovo interesse che l’ha riportato ai vertici come luogo di vita sociale e culturale.

Il Museo non è solo il luogo dell’identità, della conservazione, della ricerca; il Museo è soprattutto il luogo delle possibilità: una straordinaria occasione per gli uomini di oggi di contemplare le vette e condannare le miserie del passato per cercare di essere cittadini migliori nella contemporaneità. (Direttore Paolo Giulierini)

Due le aspirazioni da far sviluppare e coesistere:

  • Il Mann si propone come testimone e d’interprete dei materiali storici dall’elevatissimo valore che caratterizzano le proprie collezioni, pregevoli a tal punto da consentire alla città di Napoli di essere una delle più dinamiche e illuminate capitali europee. Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dunque, e la Collezione Farnese, con il materiale campano e pompeiano, possono definirsi l’esito della politica illuminata borbonica.
  • Fine è anche quello di recuperare e valorizzare la propria vocazione scientifica, con uno sguardo vigile alla divulgazione culturale, grazie al patrimonio di professionalità e di conoscenze che si è andato stratificando nel tempo.

Il Mann oggi lavora con una prospettiva che può dirsi locale e globale. Questi sono anni in cui il Mann ha decisamente rafforzato il suo già intenso legame con il territorio, un intimo e radicato cordone lo lega a Napoli, all’interno della quale si propone come dominatore della scena culturale, tramite una ricca e articolata progettualità che prende vita grazie a mostre, esposizioni, eventi e manifestazioni, appuntamenti in grado non solo di attrarre nuovi fruitori, ma capaci di buttar giù il proprio perimetro fisico aprendosi alla comunità locale. La vision globale si attua con il progetto Mann nel mondo, il portavoce a livello internazionale della sua storia ma anche di quella del suo territorio, contribuendo ad espatriare così nel mondo intero l’immagine sia di Napoli che Campana.

Il palazzo che ospita il Museo fu edificato nel 1585 a mo’ di Regia Cavalleria, mentre nei primi decenni del XVII secolo il fabbricato fu incorporato in un grande edificio destinato a diventare sede dell’Università Federico II. Il possente palazzo fu ideato e realizzato da Cesare Fontana, coadiuvato da Bartolomeo Picchiatti: Cesare, figlio del più celebre Domenico, si rifece proprio ad un disegno del padre per la Reggia di Caserta. In un primo momento la costruzione prevedeva un solo piano, con un corpo centrale a due livelli, oltre a due lunghe ali laterali decorate da guglie e vasi, poi da statue e busti di filosofi. Furono poi opportuni quanto necessari lavori di ristrutturazione, i quali seguirono la direzione di Giovanni Medrano, uno dei realizzatori della Reggia di Capodimonte.
Giunse così il XVIII secolo, il palazzo fu finalmente deputato a Museo. Le origini e la formazione delle collezioni si legano alla figura di Carlo III, re proprio e nazionale di Napoli dal 1734, e alla sua politica culturale: fu lui a promuovere l’esplorazione delle città vesuviane sepolte durante l’eruzione del 79 d. C. (1738 Ercolano, 1748 Pompei), e sempre egli curò la formazione in città di un Museo Farnesiano, trasferendo dalle residenze romane e parmensi parti della sua facoltosa collezione ereditate dalla madre Elisabetta Farnese.

La collezione Farnese sorge nel periodo rinascimentale per volontà di Alessandro Farnese (1468-1549) che a partire dal 1543 si diede a collezionare e commissionare opere ai più noti artisti dell’epoca. Formatasi nel 1564 grazie alle sculture romane rinvenute nelle terme di Caracalla, andò ampliandosi poi tra Roma, Parma e Piacenza. La collezione fu trasferita nella prima metà del XVIII secolo su volere di Carlo di Borbone a Napoli: defunto Antonio Farnese, estinta la dinastia farnesiana, il ducato pervenne all’Impero Spagnolo in virtù del trattato della guerra della Quadruplice Alleanza. Per lo storico del Novecento Michelangelo Schipa, il trasferimento della collezione, una «salutare rapina», assicurò la salvaguardia dai pericoli della guerra che stava per investire anche il ducato di Parma in quegli anni, nonché, la permanenza in Italia dei beni farnesiani che diversamente, sarebbero finiti nelle mani dei nuovi proprietari del ducato emiliano, gli austriaci. Anche se «la furia degli strappi non ebbe sempre riguardi di ammirazione o di pietà per tanto tesoro»

Ferdinando IV pensò poi di riunire nell’odierno edificio i due nuclei della Collezione Farnese e della raccolta di reperti vesuviani già in esposizione a Portici all’interno della Reggia. Durante il Decennio Francese (1806-1815) vi furono i primi allestimenti, poi da 1816, con il ritorno dei Borbone, la nuova denominazione come Real Museo Borbonico. Anche nel corso del XIX secolo si ebbe una modifica al progetto, e ad attuare significative trasformazioni fu Francesco Maresca, al quale seguirono Pietro Bianchi e Antonio Niccolini. Sorto come Museo universale, ospitò istituti e laboratori (Real Biblioteca, Accademia del Disegno, Officina dei Papiri, Pinacoteca), poi demandati ad altre sedi nel 1957.

Museo Mann

Nazionale dal 1860, Archeologico dal 1957, il Museo vede nel tempo arricchite le sue collezioni sia con l’acquisizione di reperti giunti dagli scavi nei siti della Campania e da quelli nell’Italia meridionale, sia dal collezionismo privato.

I veri musei sono quei posti dove il Tempo si trasforma in Spazio. (Orhan Pamuk)

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