Napoli e Roma, città che incrociano i loro destini da secoli: il fascino della cultura greca, fiorente nella nostra terra, rapì completamente l’animo e le menti degli antichi Romani.

Che Napoli fosse bella, appetibile, sinonimo di pace e meraviglie, era risaputo tra i nostri primi “ospiti”, i greci. I quali, sebbene le spigliate doti guerriere, non furono guerrafondai, tutt’altro, decisero di godere di questa nuova e ineguagliabile patria, innamorandosi del suggestivo scenario di uno dei golfi più incantevoli al mondo.

Per l’insediamento dei coloni greci in Campania leggi il nostro articolo sulla Magna Grecia.

Un disimpegno bellico favorito, probabilmente, dal clima dolcissimo, dall’abbondanza delle derrate alimentari, dalla fertilità del suolo e dalle ricche risorse del mare. Napoli era sinonimo di benessere. Merito di una posizione geografica ideale e invidiabile: una città posta al centro della costa tirrenica, meta prediletta di innumerevoli peregrini provenienti dall’intero bacino del Mediterraneo.
E allora cosa spinse neapolitani e greci alle armi? La presenza di due scomodi “vicini”, i quali destarono ben presto i nuovi insediati dai loro sogni beati.

I Sanniti. Bellicoso popolo delle aree montuose campane, desideroso di guadagnarsi uno sbocco sul mare e che, dopo aver minacciato la città di Partenope, obbligandola a invocare l’aiuto delle truppe ateniesi nel 423 a. C., conquistò Cuma due anni più tardi, costringendo i suoi abitanti a rifugiarsi proprio a Napoli.

I Romani. Forti di una potenza militare in costante crescita, ambivano alla conquista del Sud Italia. La loro idea fu quella di rendersi amici i partenopei.

Liberatasi dal dominio etrusco, la città di Roma iniziò una rapida espansione territoriale che, nonostante momenti critici come l’invasione gallica del 390 a. C., la rese padrona di tutta l’Italia nel III secolo a. C..

Per la cronologia delle guerre combattute in Campania nel corso dell’Antichità leggi il nostro articolo.

Neapolis

I Romani compirono un primo tentativo nel 328 a. C., quando proposero un’alleanza agli arconti di Napoli, Corilao e Ninfio. Sebbene ci fosse una propensione all’accordo, le maggiori entità politiche del Sud (Taranto, Siracusa, Nola e i Sanniti) vi si opposero, premendo sui due arconti affinché non cedessero, delineando così la comune esigenza di contrapporre una barriera invalicabile alla prorompente aggressività dell’espansionismo romano. Fu così rifiutata ogni sorta d’intesa con Roma. Nel 326 a. C., come ovvia conseguenza, ecco il conflitto armato. Il console Pubilio Filone, postosi alla guida di alcune legioni, si interpose con un’astuta manovra politica nei conflitti intestini tra Palepoli e Neapoli, procurando la caduta della prima e la fuga dei 2.000 nolani e 4.000 sanniti intervenuti a sua difesa. La resa fu inevitabile. Parte dei “meriti” va concessa anche ai due arconti napoletani che con alcuni stratagemmi contribuirono alla fuga degli alleati, consegnando, o quasi, la città ai Romani.
Napoli fu unificata e, accettando la «confederazione» con Roma, non perse nessuna delle sue prerogative, conservando in tal modo culti, istituzioni, lingua, facoltà di battere moneta. Nacque una profonda e sincera amicizia.

Quella dei Romani fu una vera e propria marcia verso sud. La vittoria romana nella guerre sannitiche (343-295 a. C.) certificò il suo dominio su tutta l’Italia, con l’eccezione di alcune porzioni del Sud – delle quali s’impadronì dopo le guerre contro Pirro, re dell’Epiro (280-272 a. C.) – e la valle del Po sino alle Alpi, la cosiddetta Gallia cisalpina – che fu sottomessa nel corso del II secolo a. C. L’Italia si trovò così suddivisa in «cittadini romani», una minoranza che godeva di tutti i diritti; «il popolo latino», con uno status speciale, e il resto degli «alleati», che avevano i doveri di sudditi ma erano privi dei diritti di cittadini.

I napoletani non vennero mai mano all’intesa stilata con Roma: respinsero dapprima le lusinghe di alleanza formulate da Pirro nel 280 a. C., poi quelle di Annibale nel 216 a. C., che invece trovò alleati in Siracusa e si stabilì a Capua.

…quando Annibale si presentò con i suoi armati davanti alle solide mura della città (minacciando: «O con me o contro di me!»), non esitarono: dettero mano libera alla loro valente cavalleria comandata da Hegeas, uno dei tanti eroi sconosciuti della lunga storia di Napoli, e costrinsero il grande condottiero cartaginese a desistere dalle sue arroganti pretese. (Gennaro Ruggiero)

Anche nel 90 a. C., allorché la gran parte delle genti italiche della penisola insorsero contro Roma, costituendosi nella combattiva federazione chiamata «Italia», i napoletani si schierarono con gli alleati di sempre. Forse Roma, ai loro occhi, era l’unico “mezzo”, paradossalmente, di cultura e civiltà in grado di esportare nel mondo i valori che avevano fatto grande la Grecia.

Villa di Poppea (Oplontis)

Roma fu come rapita dal fascino della cultura greca e per assimilarne concezioni, mentalità, gusto estetico, si servì proprio di Napoli, conferendole il ruolo di “mediatrice” e “filtro”. Per tutto il periodo repubblicano e quello imperiale, l’aristocrazia e l’élite culturale romana, ma anche imperatori e celebri personalità dell’esercito romano, non ebbe altra aspirazione, disporre di una residenza estiva a Napoli e dintorni: lussuose ville furono costruite nell’area compresa tra la costa puteolana e quella sorrentina, dove i notabili dell’antica Roma si vestivano alla greca, assistevano a spettacoli greci, ascoltavano musica greca e commissionavano opere d’arte a maestri greci.

Graecia capta ferum victorem cepit (Orazio, Epistole, Il, 1, 156)

Scipione l’Africano esiliò per sua volontà a Liternum e fu sepolto sulle rive del lago Patria. Silla, lasciati gli affanni della dittatura, poté stabilirsi nella sua villa a Cuma. Tiberio preferì trasferirsi a Capri. Claudio scelse Napoli per le sue rappresentazioni filodrammatiche. Nerone propinò a più riprese le sue composizioni canore alla folta e variopinta folla napoletana, la sola, stando alle sue parole, che possedesse la “competenza” per capirle e apprezzarle. Bruto fece realizzare una magnifica villa sull’isola di Nisida, dove, si dice, assieme a Cassio, ordì la congiura contro Cesare. Lucullo, tornato dalla Persia con straordinarie ricchezze, si concesse una favolosa residenza sul litorale partenopeo, il Castrum Lucullanum. A Napoli il clima fecondo donava conforto e alimento ai talenti di intellettuali come Cicerone, Orazio, Plinio il Vecchio. Una terra promessa, terra ove approdò Virgilio, il sommo poeta della romanità, il quale, preso contatto con il suo humus, non volle più andar via. Una terra patria di letterati, pensatori e poeti, da sempre fari luminosi della cultura di ogni tempo: Silio Italico, Lucio Gaio, Papinio Stazio, Lucrezio Caro. L’ambiente che ha ispirato la nascita delle gustose favole atellane a cui Plauto dovette ispirarsi per iniziare il lungo cammino poi giunto alla commedia dell’arte. Napoli era la Grecia, e Roma lo capì, lo seppe. Del resto, volendo emulare, e rinverdire, i fasti e la gloria dei Giochi di Olimpia, fu proprio a Napoli che Augusto decise di istituire i Ludi Quinquennali.

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