Come festeggia chi fa festa tutto l’anno?
Ci sono alcune ricorrenze che vengono spesso sottovalutate. Travolte da un incontrollabile flusso di ordinarietà che non lascia spiraglio alcuno su cui riflettere. Eppure nella nostra Regione una persona su cinque compie una piccola riflessione il primo Maggio, ma forse anche più di una.
Lungi da me sprofondare in discorsi moralismo-apocalittici sul ruolo delle istituzioni o di altre “beneamate” figure. Sia chiaro questo. Certo che potrebbe involontariamente scivolare dalla mia bocca la statistica che vede il tasso di disoccupazione nel nostro paese inversamente proporzionale alla latitudine del posto in cui ci si trova, ma preferisco circoscrivere il discorso alla nostra Regione. Detto ciò, vorrei porre l’accento su alcuni punti, i quali, seppur non principalmente rilevanti, permettano di tirar via quella coltre di nebbia sotto la quale si sviluppa un argomento intricatissimo come quello del lavoro.
Per iniziare vorrei volgere un pensiero a molti “sportivi” campioni nel “puntare il dito”. Non è una disciplina molto complessa a dispetto di quello che si possa pensare. Basta discutere di un problema e addurre ipotetiche ragioni scatenanti. Mi appello innanzitutto a costoro, invitando a riflettere sul fatto che ci sono tanti piccoli tasselli a formare il puzzle e altrettante cause di disoccupazione diverse. Persone oziose di natura che si comportano da eterni fanciulli e “mammoni”. Ragazzi e ragazze che crescono in ambienti violenti, a cui strappano il futuro prima di iniziare a vivere. E perché no? Aggiungerei anche i lavoratori che vengono umiliati con stipendi miseri o le cui qualità vengono sottovalutate e decidono, giustamente o meno, di abbandonare. Il lavoro non è un problema solo per chi non riesce a trovarlo. Comprendere questa complessità sembra scontato, ma credetemi, non lo è affatto.
A questo punto mi sposterei su una questione più pratica. Prevenire è meglio che curare. Così come le nuove generazioni sono tendenzialmente le più preparate e qualificate della storia, allo stesso tempo sono quelle che incontrano più difficoltà nell’accedere al mondo del lavoro. C’è chi, sfoderando l’indice, adduce alla scarsa esperienza o attitudine l’insuccesso dei giovani aspiranti lavoratori. Evitando di incorrere in possibili “scivoloni”, cercherei di ricomprendere questo discorso in un contesto leggermente più ampio. Assicurare a questi giovani una piccola “scialuppa di salvataggio” prima di lanciarli tra le onde di questo immenso mare che a molti non lascia scampo. In questa “scialuppa” ci metterei diverse esperienze lavorative, ancorché di breve durata, conoscenze più tecniche ma soprattutto una maggior consapevolezza delle proprie attitudini.
Concludendo, con la speranza di non esser risultato banale, vorrei evidenziare ulteriormente quest’ultimo punto. Non penso si possano distinguere i nostri giovani in “capaci” o “non capaci”, ma solo in “consapevoli delle proprie capacità” e “non consapevoli”. Scoprire qual è il proprio “campo di battaglia” può e deve tornare a far ruggire questa terra, che, oggi, è affamata più che mai.