Un anno di lavoro per recuperare la preziosa domus e ripiantare le antiche essenze profumiere

Sulla soglia d’ingresso, un mosaico in tessere bianche e nere con un bel: “Cras  credo”, ovvero “faccio credito domani”, ammoniva senza mezzi termini i malintenzionati che volevano portare per le lunghe il pagamento dei prodotti di bellezza acquistati. Faceva casa e bottega, quel maestro profumiere che 2000 anni fa abitava al civico sei dell’Insula otto, nella Regio II, a Pompei. Non solo: in quella domus l’uomo teneva pure un’officina attrezzata di tutto punto, nella quale provvedeva a trasformare in creme e essenze profumate le rose, le foglie e le infiorescenze delle piante aromatiche che coltivava nel giardino.  La casa, detta “di Ercole” per la statuina in marmo ritrovata nel larario in fondo al giardino e raffigurante un Ercole con la pelle del leone di Nemea poggiata sull’avambraccio sinistro, riaprirà alle visite dall’undici giugno prossimo, recuperata in ogni suo settore ma principalmente nello spazio, circa quattromila metri quadrati, dal quale l’aromatario ricavava quanto era necessario al confezionamento dei prodotti di bellezza per le matrone pompeiane.

L’intervento di recupero, effettuato di concerto con il Parco Archeologico di Pompei e con la supervisione del direttore Gabriel Zuchtriegel, è durato un anno e ha visto un impegno finanziario, pari a 140 mila euro. Sostenuto dall’Associazione “Rosa antica di Pompei” di Michele Fiorenza il progetto ha visto il ripristino del piano di campagna e del sistema antico di irrigazione fatto di canalette di terra a cielo aperto comandate da chiuse e collegate a dolia e vasche seminterrate. Nel giardino sono state messe a dimora le specie botaniche ospitate sino alla viglia dell’eruzione vesuviana del 24 agosto, nel 79 dopo Cristo. Si tratta di circa ottocento piante di rose antiche, milleduecento viole, mille bossi, ciliegi, viti a spalliera e due meli cotogni; ricostruiti anche gli antichi pergolati sul triclinio estivo e lungo il confine sud del giardino. Al progetto, assieme ai funzionari del Parco archeologico pompeiano, hanno lavorato Michele Borgongino, Antonio De Simone, archeologo e docente di “Restauro dei Beni Archeologici” all’ Università Suor Orsola Benincasa di Napoli; Salvatore Ciro Nappo, archeologo pompeianista; Maurizio Bartolini, esperto e progettista di giardini storici; Luigi Frusciante, dell’Istituto di Genetica Agraria, e Gaetano Di Pasquale, Archeobotanico, entrambi del Dipartimento di Agraria Università Federico II di Napoli.

La ricostruzione della flora antica è stata resa possibile dagli studi e dall’elenco di resti vegetali come pollini e spore o radici di viti e olivi che, negli anni Cinquanta del secolo passato, venne compilato dalla botanica americana Wilhelmina Feemster Jashemski. La scienziata, assieme al marito, lavorò a Pompei e Ercolano portando a termine una serie di ricerche dirette a individuare e catalogare le tracce delle specie vegetali rimaste sotterrate da cenere e lapilli. Tra le altre, il giardino della domus, secondo gli archeologi, nel corso della prima metà del I secolo dopo Cristo era stata ampliato abbattendo alcune abitazioni limitrofe al fine di ricavare terreno in cui mettere a dimora piante che servissero a fornire le materie prime per profumi e unguenti. Insomma, tutto doveva essere fatto alla perfezione per ottenere una produzione ottimale. C’era persino un’area destinata alla produzione di olive. Difatti, l’estrazione delle essenze profumate avveniva attraverso la macerazione in olio di petali, foglie e aghi resinosi. E dunque se l’olio non era di buona qualità nemmeno le creme o i profumi lo sarebbero stati. A Pompei sono attestati almeno tre profumieri: Agatho, Marco Decidio Fausto e Febo. Se uno dei tre fosse stato il proprietario della Casa di Ercole, non ci è dato di sapere perché non sono stati ritrovati graffiti o altro che potessero indirizzare su un nome invece che su un altro. I loro nomi sono giunti sino a noti attraverso le scritte elettorali. I profumieri erano riuniti in corporazioni e facevano propaganda elettorale per un certo Vero e per un tale Modesto: “Verum Aedilem Oro Vos Faciatis Unguentari facite rogo” e “Modestum Aedilem Unguentari et Pauperes facite”, ovvero “Gli unguentari vi chiedono di eleggere Vero a edile” e “Gli unguentari e i poveri (era una categoria di “lavoratori” ben numerosa a Pompei, quella dei “poveri”, tanto da avere un luogo “d’impiego” deputato: i sedili di pietra presso gli edifici principali della cittadina)  votano Modesto a edile”. La sede del loro sindacato, con l’ingresso che si apriva su Via degli Augustali, era situata in due locali al piano superiore del Macellum, il mercato dove venivano venduti generi commestibili.

Il procedimento di produzione dei profumi era abbastanza semplice: i fiori o le altre specie aromatiche venivano posti a macerare nell’olio extra vergine, raffinato e depurato al massimo degli elementi grassi, che estraeva le molecole di base del profumo. Secondo alcuni studiosi, le donne pompeiane usavano il Rhodium, ottenuto da rose, mirra e incenso; il MirtumLaurum, ricavato da lauro, mirto, mirra e gigli; il Susinum, ottenuto con i gigli e il miele, mirra e zafferano; l’Illirium, con giglio, alloro e olio di mirto; il Melinon, con maggiorana, mandorle amare, mele cotogne e foglie di viti; lo Iasminum, composto dal gelsomino.

Per le prostitute e per la plebaglia più infima, niente profumi costosi e fini. Per loro c’era il profumo di Giunco e le creme da due assi, quattro soldi dell’antichità.

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