Il XVI secolo, l’alba dei viceré. Quanto ne sappiamo sui personaggi storici di questo periodo.
La Napoli del viceregno spagnolo e dei viceré è forse una delle pagine più discusse della nostra storia: da un lato la Campania e l’intero Sud Italia arretrano sullo scacchiere geopolitico europeo per molteplici ragioni, politiche, economiche, in parte culturali, geografiche, dall’altro, specie nella capitale, qualcosa si è pur mosso, anche grazie all’opera, visibile o meno, di alcuni viceré.
La prepotenza dei nobili, l’incremento demografico, la dilagante immigrazione dalle province, il banditismo e il brigantaggio, i vizi locali, il contrabbando, le incursioni della pirateria barbaresca, tumulti, carestie ed epidemie: alcuni dei maggiori ostacoli al governo dei viceré.
Ecco alcuni dei protagonisti di questo periodo storico:
Consalvo di Còrdova (16 maggio 1503-11 giugno 1507)
Il “Gran Capitano”, il conquistatore del regno, fu egli stesso il primo viceré. Entrato a Napoli il 16 maggio 1503, vi rimase per i successivi tre anni. La sua qualifica fu confermata il giorno precedente: con gran senso politico aveva approvato 69 capitoli di grazie e privilegi propostigli dalla città di Napoli, cioè dei 29 membri eletti dai sedili di Nido, Capuana, Montagna, Porto, Portanova e dal rappresentante del seggio del Popolo. Dimorò poco in città e la sua fama non è certo delle migliori: un tentativo fallito di introdurre l’Inquisizione seguendo lo stile Spagnolo nel 1504; coinvolgimento tra il 1504 e il 1505 in una speculazione finanziaria sull’annona del grano; sgradito ai seggi, fu finanche accusato di volersi fare re del paese conquistato. Un vero disastro. Da segnalare in questi anni però ci sono due avvenimenti: la visita dei reali di Spagna a Napoli nel ottobre 1506; la definizione del funzionamento del Consiglio Collaterale e della Camera della Sommaria.
Il Conte de Ribagorza (4 giugno 1507-8 ottobre 1509)
In attesa del suo arrivo, la luogotenenza del regno fu affidata alla vedova di Ferrante I, nonché sorella di Ferdinando il Cattolico, ovvero Giovanna d’Aragona. Ci mise poco a combinarla grossa: fu gettato un bando contro tutti i marrani (ebrei convertiti forzatamente al cristianesimo) e i non buoni cristiani affinché entro sei mesi fossero usciti dal regno. Una mossa che non si dimostrò proficua per l’economia napoletana. Giunto il Conte i problemi furono i soliti: l’influenza dei nobili, i pirati, i tumulti per il pane.
Raimondo di Cardona (24 ottobre 1509-10 marzo 1522)
La sua reggenza è ricordata per un avvenimento davvero particolare: nel primo anno del suo governo avvenne la prima rivolta che in un certo senso espresse contrarietà alla corona spagnola. L’intera cittadinanza napoletana nel 1510 si unì contro l’introduzione nel regno dell’Inquisizione alla “maniera” spagnola. Il 23 settembre si diffuse la notizia ch’era giunta la tanto fatidica disposizione di istituire il tribunale, e immediatamente presero il via i disordini. Inoltre il 21 ottobre venne giurato un accordo tra i rappresentanti cittadini, al quale fece seguito una processione con il busto di san Gennaro. Cardone dichiarò la resa: con l’approvazione di Madrid, il 19 novembre poté comunicare ai Seggi e quindi alla città intera che una risoluzione sovrana aboliva l’istituzione del tribunale.
Don Pietro di Toledo (4 settembre 1532-22 febbraio 1553)
Così ebbe inizio una esperienza del tutto diversa per il regno, con un accentuato autoritarismo e con un forte carattere spagnolo del governo. Comincia una trasformazione radicale della città: edilizia, consuetudini di vita, costumi, moralità, dialetto, caratteristiche somatiche. Muore la capitale mitologica, quella degli angioini e degli aragonesi per intenderci, e si fa strada in tutta la sua vitalità la metropoli moderna di cui ancora oggi abbiamo conoscenza. Noto ai più per i suoi provvedimenti di risanamento urbanistico ed edilizio e di bonifica igienica. Oltre all’opera di pavimentazione delle principali arterie, fu estesa la cinta muraria, dettata da esigenze militari e realizzata nell’arco di quattordici anni, allacciò Port’Alba e Costantinopoli al Castel Sant’Elmo e al borgo di Chiaia, tramite grandi strade che tutt’oggi imbastiscono l’ossatura delle comunicazioni cittadine: sto parlando di via dell’Infrascata (odierna via Salvator Rosa) verso l’Arenella e Antignano; via Santa Lucia verso Pizzofalcone; e la rinomata via Toledo, la principale, la più frequentata e caratteristica via di Napoli. Tra via Toledo e le pendici di Sant’Elmo e di San Carlo delle Mortelle, furono costruiti sulla collina conventi, case e soprattutto caserme spagnole, i cosidetti «quartieri» che, insieme con la chiesa di Montecalvario, andranno a definirsi come quella folcloristica zona denominata «’ncoppa ‘e Quartieri». La prepotente spinta demografica favorì lo sviluppo edilizio in borghi fuori dalla cerchia urbana: nuovi nuclei abitati sorgono a Mergellina, ai Vergini, all’Avvocata, a Sant’Antonio, a Loreto, e in altri borghi, che poi andranno a costituire parte integrante della città. In più: ricostruzione post sisma e inaugurazione di una villa a Pozzuoli; trasformazione del castello di Capuana da sede principesca a grande edificio per i vari tribunali e in primisi la Vicaria con le prigioni; venne costruito un primo palazzo reale; edificata una chiesa per gli spagnoli, quella di S. Giacomo; inaugurati gli ospedali di S. Maria Loreto, S. Caterina; nel 1539 venne fondato il Monte di Pietà, premessa al futuro banco di Napoli.
Da ricordare anche il suo impegno per la difesa della città e delle province e la tenacia nella tutela dell’ordine pubblico, della morale e della sicurezza dei cittadini: difese Napoli dagli assalti dei corsari barbareschi in un periodo di alleanza tra impero Ottomano e Francia; attuò la repressione degli abusi persistenti nei rapporti dei baroni con i loro sudditi e nelle rivendicazioni dei diritti demaniali usurpati; represse con mano ferrea la delinquenza; attuò una campagna contro i falsi testimoni e gli usurai; creò bandi contro i duelli; riunì le prostitute in luoghi determinati della città; proibì il porto d’armi; passò la nomina dell’eletto del popolo nelle mani del viceré; fallì il tentativo d’introduzione dell’Inquisizione alla “maniera” spagnola nel 1547. Toledo ha segnato davvero una pagina importante della città.
Nella seconda metà del XVI secolo i successori di don Pedro non ne furono all’altezza, impegnati soprattutto nelle intricate vicissitudini belliche della Spagna e nella ardua lotta alle incursioni turche.
Duca di Alcalá (12 giugno 1559-2 aprile 1571)
Già viceré della Catalogna, con l’esperienza quindi di una provincia difficile, rimase in carica fino alla sua morte. Prima si trovò ad affrontare tre gravi carestie le quali provocarono una consistente immigrazione di gente affamata dalle province: la popolazione della capitale sfiorava i 500.000 abitanti alla fine del secolo. In seguito dovette far fronte alla peste portata dalla soldatesca spagnola di Sardegna: lo spirito d’iniziativa fu deleterio. Ben altro slancio fu messo dal viceré nell’annientamento di alcuni poveri contadini valdesi residenti nel cuore della Calabria e immigrati dal secolo XIII, presso San Sisto e Guardia: per la carestia, la peste, passi pure, ma l’eresia era una cosa seria. Modesti i risultati del suo operato sotto ogni punto di vista.
Marchese di Mondejar (10 luglio 1575-8 novembre 1579)
Lascò a Napoli una «malissima fama» dietro di sé, eppure qualcosa si mosse sotto il suo governo. Costituì un nuovo arsenale a Santa Lucia; costruì le fognature del borgo di Chiaia, pavimentò le strade con i mattoni fabbricati ad Ischia: queste le opere pubbliche degne di nota. In più, attuò alcuni provvedimenti che non giovarono al suo buon ricordo tra la popolazione: iniziò campagne contro le case da giuoco, perseguitò i contrabbandieri, sfrattò le meretrici, e obbligò gli abitanti a pulire le strade.
Duca di Ossuna (28 novembre 1582- novembre 1586)
Il suo governo è rimasto memorabile per un particolare avvenimento accaduto proprio in quegli anni: il famoso eccidio del 1585 a danno dell’eletto Giovan Vincenzo Storace. Il viceré consentì una folle esportazione di grano, provocando una durissima carestia ed aumentando per giunta il prezzo del pane. Il capro espiatorio per la plebe napoletana fu proprio Storace, reo di aver acconsentito all’aumento del prezzo. Agitazioni, tumulti, omicidi scossero finanche l’albagia del viceré. Tra le mosse attuate dal duca ci fu la collaborazione coi tanto odiati nobili, e l’attuazione di provvedimenti elementari per assicurare il pane alla povera gente.
Conte di Miranda (novembre 1586- 5 novembre 1595)
Carestia, brigantaggio, incursioni barbaresche: i soliti problemi. Ma qualcosa pur resta del suo governo. In primis rese Largo di Palazzo centro focale della vita napoletana: vi si istituirono giochi, giostre e tornei. Costruì una polveriera fuori Porta Capuana, ingrandì il Ponte della Maddalena, restaurò il ponte d’accesso al Castel dell’Ovo.
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