Secondo la tradizione, in Campania l’8 dicembre, Festa dell’Immacolata Concezione, in ogni casa si allestisce il presepe. Luigi Vassallo, Dirigente Scolastico e scrittore, ne IL MIO PRESEPE racconta i suoi ricordi.
Luigi Vassallo nasce a Nola nel 1948 e a Nola vive fino al 1983. Frequenta il Liceo ginnasio “G. Carducci” a Nola e l’università ” Federico II” a Napoli, dove si laurea prima in Lettere classiche e poi in Filosofia. Insegna lettere al ginnasio in Valsesia, a Palma Campania e infine a Nola nel suo Liceo. Dal 1983 è preside: a Lucera (FG), Alassio e, dal 1986 al 2008, a Finale Ligure nel Liceo scientifico “Issel” dove conclude la sua carriera. Pubblica articoli e libri di diritto scolastico, due libri di racconti, una ricerca sull’estetica occidentale e collabora alla traduzione dal latino degli Statuti medievali di Finale Ligure.Da pensionato tiene conferenze per l’ Unitre, Soci Coop e ANPI e per le scuole. Sposato dal 1974, ha due figli dai quali ha avuto sei nipoti. Per questo Natale, ci ha fatto dono di un suo scritto, che pubblicheremo “a puntate”, sulla bella tradizione del Presepe.
Capitolo 1
Faccio il Presepe
8 dicembre, festa dell’Immacolata. Secondo una tradizione della mia terra d’origine comincio a fare il presepe. Non ho una struttura già pronta. Ogni anno la ricostruisco con pietre, pezzi di sughero, un po’ di legnetti e ne tiro fuori capanne, ponti, anfratti per collocarci i pastori cioè le figurine che animano il presepe. Da un po’ di anni la preparazione della struttura è diventata monopolio di mia moglie. A me resta da piazzare i pastori con l’aiuto dei miei nipotini che pretendono di decidere loro la collocazione.
Fare il presepe mi ricongiunge al bambino che ero settant’anni fa. Mi riporta nella tradizione. Tutte le tradizioni sono conservatrici perché conservano valori e affetti, ma non tutto quello che viene conservato dalle tradizioni significa imprigionamento della storia. Ci sono anche tradizioni che custodiscono un messaggio di liberazione, una speranza di orizzonte di libertà. Credo che il presepe, al di là del suo significato per chi crede nel cristianesimo, sia una di queste tradizioni. Perché rappresenta sì un mondo di altri tempi con le sue figurine impegnate in lavori ormai desueti o scomparsi, ma contiene anche un senso di pace che ti avvolge e ti fa sognare un mondo in cui la pace e la semplicità di vita non siano più un sogno ma la normalità. Una volta fatta la struttura, arriva il momento di disporre le figurine. Ho pastori artigianali, alcuni comprati a San Gregorio Armeno, la via napoletana dei presepi, come il pozzo da cui scorre l’acqua e il fornaio in movimento che cuoce pane e pizze. Ho anche pastori di resina, meno a rischio di rottura, che fanno da comprimari agli altri. Ho pure pastori di notevole valore economico, pezzi unici di un artigiano palermitano che era già vecchio nel 1982 quando li comprai, ma questi pezzi non li metto nel presepe, li custodisco in un’apposita vetrinetta: non vorrei che i miei nipotini, che abitualmente spostano le figurine nel presepe per rinnovare continuamente le scene, me li facessero cadere.
Al mio presepe rinnovato, in Liguria, mancano gli zampognari. Ci sono gli zampognari di terracotta, ma non ci sono quelli che a Nola venivano ogni anno dall’Abruzzo, vestiti con pellicce e calzari particolari, a suonare la zampogna e la ciaramella ogni sera per il periodo dell’Avvento fino al 24 dicembre. Quella sera la novena la suonavano davanti al presepe, grande o piccolo che fosse, nelle varie case e solo allora ricevevano un compenso in danaro e un bicchiere di vino per tutte le volte che avevano suonato. In cambio ci lasciavano una cucchiaia di legno fatta a mano.
Al mio presepe ligure manca anche il cenone di Natale, con l’insalata di rinforzo, gli spaghetti a vongole, il baccalà, le anguille, il panettone e l’allegria dei familiari intorno alla tavola. Il cenone mia madre lo comprava a rate dal nostro salumiere aggiungendo ogni volta una piccola somma alla spesa quotidiana; così, senza sobbarcarsi, tutto in una volta, una spesa non proprio alla portata delle risorse familiari, riusciva a farci godere la sera del 24 dicembre del tradizionale cenone, anche se io mangiavo solo gli spaghetti e il panettone e mio fratello, un po’ più piccolo di me, non voleva nemmeno quelli e preferiva la consueta zuppa di latte.
Al mio presepe di oggi manca anche il rito della letterina di Natale. La scrivevo sotto dettatura delle suore, poi, più grandicello, da solo: auguravo felicità ai miei genitori, li ringraziavo per il loro amore, promettevo di fare meno marachelle il prossimo anno. Mia madre aveva il compito di nascondere questa letterina sotto il tovagliolo di mio padre, il quale, solo alla fine del pranzo, spostando il tovagliolo l’avrebbe notata con grande stupore. Il rito si ripeteva ogni anno e comprendeva la meraviglia di mio padre per una lettera mandata chissà da chi, la sua lettura lenta ad alta voce, accompagnata da me sottovoce, il bacio a me di mio padre e mia madre e qualche moneta in dono, come anticipo del regalo che la Befana mi avrebbe portato. Questo ogni anno finché i miei genitori ritennero (e noi con loro) che ormai non era più tempo di favole per me e mio fratello.
Quando la struttura del presepe è pronta, prima di inserire nella scenografia le figurine di terracotta o resina bisogna sistemare le luci e il temporizzatore, che dà e toglie elettricità al presepe secondo l’orario che io imposto. Qualche pastore non viene ancora inserito nella struttura. Il bambinello sarà messo nella mangiatoia solo a mezzanotte del 24 dicembre: il compito tocca al più piccolo della famiglia e, se questo è già crollato per il sonno, a quello che lo precede per età e così via. I re magi invece troveranno posto tra gli altri pastori solo il 6 gennaio. Il presepe lo smonterò il 17 gennaio, il giorno della festa di Sant’Antonio Abate, che a Nola chiamano Santantuono.
continua…