Era il 1734, con l’arrivo di Carlo III sorgeva la dinastia dei Borbone in Italia. Napoli si trasformò in una delle più belle capitali d’Europa.
Anche Napoli ebbe la sua monarchia, un re proprio e nazionale, un momento che alcuni fanno coincidere all’ora più bella del Mezzogiorno. Era il 1734, con l’arrivo di Carlo sorgeva la dinastia dei Borbone in Italia. Napoli, per merito di un governo colto e lungimirante, si trasformò in una delle più belle capitali d’Europa.
Re, principi, imperatori: quando i libri di storia ci narrano del passato, lo fanno raccontando le gesta dei sovrani, la monarchia è stata l’unica forma di governo impiegata nel mondo con una considerevole continuità. Molti regni si sono ormai estinti, ma laddove la corona resiste conserva un notevole valore morale e simbolico. Il 2 giugno 1946 gli italiani preferirono la repubblica alla monarchia. Sebbene fosse calato il sipario sulla famiglia reale, i Savoia rimasero protagonisti della storia italiana, così come i Windsor lo sono del Regno Unito e i Borbone in Spagna. Due secoli fa, la gran parte degli Stati europei vantava a proprio capo un re o una regina. Oggi ne sono solo undici, una trentina considerando gli altri continenti.
Occorre distinguere fra la monarchia di radice romana, fondata sulla volontà del popolo e del Senato e poi arricchita con l’investitura sacrale dei re dei Franchi (l’unzione con l’olio delle Sacre Ampolle, che ne rendeva inviolabile il corpo), e quella orientale, puramente divina. Le monarchie europee derivano tutte dalla sacralità imperiale romano-cristiana. Le persone che fisicamente le incarnano sono sicuramente importanti; ma molto di più lo sono i simboli e i luoghi che via via abitano. L’imperatore (o il re) può anche essere “dormiente”. La regalità invece è viva. (Aldo Alessandro Mola)
Cos’è la Maestà? La magia del sovrano che stando alla tradizione detiene poteri sovrannaturali: guarisce le piaghe, ridona la vista e amministra la giustizia, il tutto sintetizzato dallo scettro con tre dita, simbolo trinitario. La maestà, allora, è pregna anche di simboli. Quali i significati delle insegne regali più importanti? Nel corso dei secoli la monarchia ha messo a punto un repertorio di immagini per comunicare ai sudditi il proprio potere, un codice dove nulla era casuale.
La corona. Impiegata fin dai tempi dei faraoni, in Occidente si diffuse (sotto forma di foglie d’albero in oro) verso il IV secolo a. C., con lo scopo, forse, di far sembrare più alto (e sovraumano) chi la portasse.
Lo scettro. Nato dal bastone di comando di re-sacerdoti, ha assunto il significato di “guida” dei sudditi.
Il globo. Derivato dalla “mela regale” adoperata dagli antichi come segno di perfezione cosmica, durante il Medioevo si trasformò in globo, mentre l’antica dea della vittoria si avvicendò con la croce cristiana.
La spada. Era la sintesi di due essenziali funzioni regali: il comando militare e l’amministrazione della giustizia, compresenza di attività spirituale e temporale.
Il trono. Già gli scranni degli antichi capi erano rialzati, per evidenziare la superiorità di chi vi sedesse, e, in più, il trono stette a simboleggiare anche la solidità del governo, in quanto la sala del trono fu il fulcro del potere monarchico.
Ermellino e porpora. La pelliccia di ermellino era simbolo di autorità e saggezza, segni di maestà, le stoffe color porpora entrarono nei guardaroba reali come eredità dei notabili romani.
Anche Napoli ebbe la sua monarchia, un re proprio e nazionale, un momento che alcuni fanno coincidere all’ora più bella del Mezzogiorno.
Era il 1734, con l’arrivo di Carlo sorgeva la dinastia dei Borbone in Italia. Napoli, per merito di un governo colto e lungimirante, si trasformò in una delle più belle capitali d’Europa. Carlo nacque sotto una buona stella: figlio di Filippo V re di Spagna e di Elisabetta Farnese, seconda moglie del sovrano spagnolo, grazie alla quale poté ereditare, per complessi intrecci familiari, pretese dinastiche sul ducato di Parma e Piacenza. Elisabetta partorì a Madrid il 20 gennaio del 1716: minuto, magro, spalle curve, carnagione scura, il futuro don Carlos fu educato da una ligia governante spagnola e da professori religiosi. La madre aveva importanti ambizioni riguardo il suo primogenito, bramava per lui un trono importante, dopo vent’anni di turbolenti accordi e guerre l’ottenne.
Una volta elevate al grado di libero regno, Napoli e Palermo, saranno tue. Va, dunque, e vinci. La più bella corona d’Italia ti attende. (Elisabetta Farnese)
I fatti. L’imperatore d’Austria Carlo VI d’Asburgo fu d’accordo nel 1731 ad assegnare al quindicenne principe spagnolo il possedimento di Parma e Piacenza, a presidio della Toscana. Non era che l’inizio. L’occasione propizia giunse nel 1733, ovvero la guerra di successione polacca in seguito alla morte di Augusto II: anche la Francia si decise a riconoscere a Carlo il ducato di Parma e gli eventuali diritti sulla Toscana. Con Carlo Emanuele di Savoia, poi, la Francia stabilì un’ulteriore ripartizione di pretese dinastiche, che prevedeva l’assegnazione del trono di Napoli alla Spagna. Tra Madrid e Vienna fu subito guerra, Carlo, appena diciottenne, fu a comando dell’Armata spagnola sulla penisola. Questo fu l’evento che Elisabetta attendeva, decisivo per soddisfare le sue ambizioni nei confronti del figlio. Il giovane marciò alla conquista dell’Italia Meridionale, amministrata da ventisette anni dagli austriaci, seguiti ai due secoli di vicereame spagnolo. Avvenne tutto in pochi mesi: la sconfitta degli austriaci, la vittoria conclusiva di Carlo il 25 maggio a Bitonto, l’acclamato ingresso trionfante in Napoli e poi a Palermo con l’incoronazione nella cattedrale della capitale siciliana. Successivamente, nel 1738, con il Trattato di Vienna, in cambio del riconoscimento della sua sovranità sul regno, cedette la sua eredità farnese: Parma passò all’Austria, la Toscana al duca Francesco di Lorena.
In conclusione. I Borbone vennero a trovarsi a Napoli perché ve li inviò il valzer della grande politica europea; il ramo borbonico di Napoli fu tenuto a lungo in soggezione da quello spagnolo, tanto che sotto Carlo e Ferdinando per ben due volte dové guadagnarsi una sua autonomia; almeno inizialmente i più influenti ministri della monarchia non furono napoletani, ma di provenienza spagnola. Ma una volta ambientatosi, Carlo, re proprio e nazionale, cominciò ad attingere le forze per il suo governo dalla propria nazione.
L’ingresso nella città partenopea, il 10 maggio del 1734, del primo sovrano del Regno autonomo di Napoli e di Sicilia, fondatore della dinastia Borbone nell’Italia Meridionale, fu trionfale. Aveva inizio il regno borbonico nel Mezzogiorno, sarebbe durato 127 anni. La passerella reale ebbe avvio da porta Capuana, con don Carlos che precedeva i suoi generali. Seguitò per le vie cittadine incorniciato dalle acclamazioni della folla in visibilio, che gareggiava al fine di afferrare le monete d’oro e d’argento lanciate dal tesoriere di corte. Fu un giorno di grande festa, con il giovane sovrano preso immediatamente in simpatia dai più. Cattolico osservante, il re decise di fare tappa presso il monastero di San Francesco di Paola, vicino porta Capuana, per sostare in preghiera. Poi entrò in Duomo, dove a benedirlo fu il vescovo Pignatelli, al quale donò una rinomata croce per il tesoro di San Gennaro. I balconi di via Toledo erano ornati da lenzuola e copriletto ricamati. In soli quattro giorni San Gennaro compì il suo miracolo: una liquefazione che in pochi istanti espresse il buon auspicio su quanto stesse avvenendo.
Fu così che l’intera Italia Meridionale divenne Stato autonomo e indipendente. Carlo fu sovrano di Napoli e di Sicilia, ma allo stesso modo mantenne i suoi diritti nella successione al trono spagnolo del padre Filippo V. Il padre sollecitò un accordo risolutivo con l’Austria, stabilendo che dal suo successore in poi non si sarebbero potuti vantare i diritti dinastici su entrambi i troni. Siglata la pace di Vienna, giunse il matrimonio con Maria Amalia di Sassonia che, allorché nel 1737 divenne regina, aveva solo 13 anni. In occasione delle celebrazioni del loro primo incontro a Fondi, don Carlos istituì il più importante ordine cavalleresco della dinastia Borbone di Napoli: il reale ordine di San Gennaro.
Furono 25 anni illuminati, in breve tempo furono conseguite numerose opere pubbliche che cambiarono per sempre il volto e la fisionomia della città. Esempio ne è il Teatro San Carlo, tempio sacro del melodramma realizzato dall’impresario Angelo Carasale assieme all’architetto Giovanni Antonio Medrano in soli otto mesi. I lavori ebbero inizio nel marzo 1737 e terminarono a ottobre: l’inaugurazione si svolse il 4 novembre in coincidenza dell’onomastico del sovrano, quando andarono in scena tre opere del Metastasio, allora all’apice della sua fama. Nello stesso anno ebbe luogo il matrimonio tra Carlo e Maria Amalia, celebrato per procura a Dresda. La regina era alta, bionda e con occhi azzurri, parlava italiano e francese, conosceva il latino, anche se il suo aspetto fu segnato dal vaiolo. La coppia, seppur non gradevole d’aspetto, rimase piuttosto unita, tanto che il poeta Thomas Gray scrisse così dei sovrani: «una bruttissima coppia di sposi». Ma l’aspetto fisico poco conta, di fronte all’amore che arrivava da un popolo che ben apprezzava quanto di buono i due facessero per la propria città. Sotto la direzione dell’architetto Ferdinando Fuga, nel 1749 fu realizzato il Real Albergo dei Poveri, destinato a ospitare i molti e diversi senzatetto e indigenti della capitale.
Spalla destra del re, ad accompagnarlo nelle sue decisioni vi era il toscano Bernardo Tanucci, un abile, colto e intelligente primo ministro. L’orientamento impresso al regno fu almeno inizialmente laico, i beni ecclesiastici furono tassati. Carlo, in quest’ottica, siglò nel 1744 un concordato con papa Benedetto XIV, tale atto poneva sostanziosi limiti all’azione e ai soprusi dei vescovi. Venne riformato il catasto (1741, censimento della proprietà fondiaria del regno, i cui beni erano valutati in once), introducendo come misura imponibile l’oncia che equivaleva a 28,35 grammi. Nel 1738 il tentativo di limitare i poteri feudali portò all’abolizione del diritto dei feudatari a esercitare poteri giudiziari sui loro possedimenti: sei anni dopo, però, i baroni, inevitabilmente influenti sulla vita dello Stato centrale, riuscirono nel loro intento di far revocare la riforma. In breve, il sovrano si propose di lottare contro la nobiltà retrograda e contro quel clero legato ad antichi pregiudizi, anche se i tentativi di riforma non raggiungono sempre l’esito sperato: abolizione dei privilegi nobiliari; circa 300 centri abitati passavano sotto la diretta sovranità dello Stato (città demaniali); la cacciata dei Gesuiti e di altri Ordini religiosi; soppressione dell’Inquisizione e della manomorta.
Napoli stava rifiorendo. Nel primo periodo borbonico furono in attività a Napoli architetti celebri e dalle palesi capacità, si pensi al già citato Ferdinando Fuga, ma anche a Luigi Vanvitelli, Antonio Canevari, Giovanni Antonio Medrano. La regina sostenne la formazione della fabbrica delle porcellane di Capodimonte, furono promossi e avviati i lavori di costruzione della Reggia di Caserta (messa in vendita dai Caetani), destinata a trasformarsi nella Versailles dei Borbone di Napoli, un palazzo reale sicuro e raggiungibile, una residenza lontana dalla rigidità della capitale. Ebbe anche luogo l’inaugurazione dei lavori della Reggia di Capodimonte. E ancora, il palazzo reale a Portici, il Foro Carolino (l’odierna piazza Dante), i grandi edifici dei Granili, l’abbellimento della prima e maggiore parte della Villa Comunale, l’Orto Botanico, gli scavi di Pompei ed Ercolano, l’Accademia Ercolanese, l’Officina dei Papiri, la Biblioteca Borbonica, il Collegio Militare della Nunziatella, il setificio di San Leucio (Ferdinando IV). In «25 anni, Napoli fu trasformata divenendo una delle più belle capitali d’Europa», questo quanto scrisse lo storico Harold Acton. L’Università poté contare su cattedre eccellenti e intramontate come quelle di Celestino Galiani, educatore di Ferdinando Galiani, e Antonio Genovesi, allievo di Giambattista Vico e primo docente universitario di Economia politica in Europa. Nel Regno di Napoli, nel 1742, gli investimenti per le opere pubbliche erano tre volte quelli di Torino, ma le rendite erano duplicate e le tasse ridotte.
Come si spiega che proprio questo primo periodo dei Borbone di Napoli sia rimasto nella storia della città e del Mezzogiorno come un periodo luminoso e importante? La risposta non è difficile, se si pensa che i Borbone arrivarono a Napoli in un’epoca in cui già da tempo, già da prima che andassero via gli Spagnoli, nel Mezzogiorno era iniziato un grande moto di rinnovamento intellettuale e sociale. I nuovi sovrani poterono, perciò, avvalersi delle energie di un paese che andava crescendo nelle sue possibilità e capacità, nella sua volontà di conoscersi e di migliorare, nella sua considerazione di sé e fiducia in se stesso. (Giuseppe Galasso)
Il 10 agosto 1759 morì Ferdinando V re di Spagna, finiva così per Carlo l’avventura italiana. Spettava al suo figlio terzogenito riuscire nell’arduo compito di non farlo rimpiangere.