Il 16 novembre è uscito “Beneath the Looming Blanket”, il nuovo disco di Giobbe. Composto da tredici brani dalle sonorità folk rock, è un dialogo intimo con i propri pensieri.
Se capire gli altri è difficile, capire se stessi si rivela spesso ancor più complesso. Nella testa, un turbinio irrefrenabile di pensieri che non hanno forma, suono, colore. Nulla. Pensieri che vagano indisturbati, incontrollati, creando soltanto un’enorme confusione. E allora a volte è bene sedersi, prendere una ad una queste creature irrequiete, guardarle e dar loro forma. E ognuno lo fa nel modo che più sente suo: Giobbe lo fa con parole e musica. Uscito il 16 novembre, “Beneath the Looming Blanket” è il nuovo disco del cantautore campano. Co-prodotto dalla “I Make Records” di Francesco Tedesco (anche batterista in quest’album), è un dialogo intimo con i propri pensieri lungo tredici brani dalle sonorità folk rock. Hanno collaborato inoltre Antonio Senesi (chitarre semiacustiche), Angelo Miccoli (basso), Alfredo Buonagiunto (pianoforte elettrico), Gennaro Ferraro (tromba) e occasionalmente Alfredo Parolino (chitarra).
A Sound Truce è la prima traccia del disco. Accordi delicati di chitarra spianano il terreno a una tromba corposa e sognante – grande protagonista dell’intero album – che catapulta l’ascoltatore in quest’atmosfera raccolta, intima, a tratti malinconica, poggiando sulle parole un velo di delusione e sconforto.
Segue Busy in a Deep Sleep, dove si percepisce maggiormente la grande sinergia che intercorre tra i vari strumenti. Melodie che si incastrano molto bene tra loro unite da un ritmo incalzante che s’impregna nella mente dell’ascoltatore. Molto piacevole.
Un pianoforte sussurrato e nebuloso introduce Looming Blankets. Arpeggi sottili di chitarra costruiscono la scena: una stanza piccola, fredda, umida. Il suono delle dita sulle corde, involontariamente, quasi fa percepire quest’umidità nelle ossa di chi ascolta. E qui le proprie paure prendono il sopravvento. Riempiono quel poco spazio rimasto nella stanza, lasciano senza respiro, si posano sul cuore come macigni insostenibili.
Al centro dell’intero disco si trova A Tumble in a Bad Dream. Anche qui un’atmosfera raccolta e intima, ma non cupa come la precedente. Le chitarre e il pianoforte infatti, nella loro semplicità armonica, le donano una maggiore apertura che si tramuta, nel testo, in un tiepido barlume di speranza – sarà perché, alla fine, è stato tutto soltanto un brutto sogno.
Adesso avviciniamoci alle ultime tracce. Clocking Up The Miles è la terzultima, e si apre con un tappeto di chitarra, basso, batteria e pianoforte su cui si poggia il tema della chitarra elettrica a fare da leggero contrasto. Una sonorità che sembra lasciare tutto in sospeso, in bilico tra la voglia di farsi avvolgere da questa speranza e la diffidenza verso di lei. O meglio, la stanchezza di chi ha seminato speranza e ha raccolto solo delusioni.
Hurty My Folks, penultima traccia, colpisce già dai primi accordi. Un basso corposo e cupo introduce un’atmosfera che sembra tradurre un rimuginare su litigi o vecchi rancori. Senza toni aggressivi o polemici, piuttosto un meditare solitario e silenzioso col retrogusto di un metallico risentimento.
A chiudere il disco troviamo Backward Steps. Una chitarra molto delicata e amichevole distende gli animi e riporta la mente per un istante al passato. Riaffiora l’immagine della propria casa, e con essa la calma. La morbidezza del proprio letto, le giornate con gli amici di sempre, un mondo familiare in cui sentirsi al sicuro e da cui ripartire. Ad ascoltarla spunta involontariamente il sorriso sulle labbra.
E così si conclude il lungo flusso di pensieri del nostro Giobbe. “Beneath the Looming Blanket” è un album variegato e ben strutturato, dove convivono pacificamente atmosfere diverse tra loro dando colore all’intero disco. A livello musicale è stato fatto un bel lavoro: ogni strumento ha saputo mostrare le proprie potenzialità creando scenari molto evocativi e in linea con i rispettivi testi. Soprattutto in “Looming Blankets”, forse la traccia più interessante tra tutte. Soffermandoci sui testi, infine, è sicuramente da sottolineare la ricchezza lessicale presente al loro interno: un aspetto da apprezzare in modo particolare.
Insomma: quello di Fabio Giobbe è decisamente un gran bel lavoro.