Quarta parte. Ci sediamo a tavola e poi conosciamo le filatrici.
A tavola
Taverna o osteria alla buona, aperta a chi ha poco da spendere. Il cuoco fa anche da cameriere e sta portando a tavola un ciotolone pieno di salsa che si appresta a servire con un mestolo… Accanto a lui uno con un piatto con pezzi di formaggio da distribuire con una cucchiaia: forse è uno della taverna oppure un venditore ambulante venuto da fuori a cercare di mettere in tasca qualche soldo.
Sulla tavola ci sono già delle forme di pane con una crema marrone, forse dolce, forse salata, ci sono dei grossi pomodori rossi in un vassoio, c’è una pentola che forse conteneva la crema e c’è un fiasco di vino.
Seduti a tavola tre anziani, vestiti alla buona, due donne e un uomo. Chiacchierano del tempo che fu e mangiano e bevono quel poco che si possono permettere. Il maschio si tiene in mano un fiasco di vino, perché non gli basta spartire con le due donne il fiasco che sta sulla tavola.
Filatrici
Due donne, la giovane in piedi, l’anziana seduta, sono intente a filare con gli strumenti di una volta: l’arcolaio, il fuso… Filano per gli altri, per coloro che useranno i gomitoli per lavorarci e vendere ad altri o per passare il tempo preparando qualcosa da indossare loro o i parenti. Filano per gli altri, ma intanto in quel filo che passa fra le loro dita filano la loro vita, i loro sogni, le loro amarezze.
Come spesso accade, mentre lavorano non sono sole. Una vecchia lavora a maglia con i ferri e, in una sorta di culla, tiene un poppante accanto a sé (forse un nipotino) e forse proprio per lui sta muovendo sui ferri le mani stanche.
E c’è una vecchina, con una grande testa e un corpo minuto, che dà l’idea di una “strega” o di una fattucchiera o comunque di chi, senza mai lavorare, sa raccontare del passato o spargere riflessioni sul presente o aprire squarci sul futuro.