Il vero killer del XX secolo? L’influenza spagnola, il “soldato napoletano” che collezionò più vittime della Grande Guerra, causa, tra l’altro, della sua inarrestabile diffusione.
Dopo aver passato in rassegna la Peste Nera del XIV secolo e aver preso doverosamente appunti, giungiamo oggi in anni più vicini, andando alla scoperta di un evento, forse passato in sordina, che tanto avrebbe potuto insegnarci e tanto ancora può suggerirci in vista di quella che sarà la lenta e progressiva ripresa della nostra vita sociale. La premessa, ovviamente, è aver conto delle dovute differenze, penso al contesto storico, allo sviluppo della scienza, della medicina, della società, etc.
Il vero killer del XX secolo? L’influenza spagnola, il “soldato napoletano” che collezionò più vittime della Grande Guerra, causa, tra l’altro, della sua inarrestabile diffusione. Sulla carta un banale malessere stagionale che vuoi la guerra, le precarie condizioni igieniche, le acerbe competenze mediche, divampò a livello planetario, trasformandosi in una vera e propria moderna piaga biblica.
La pandemia si sovrappose alle fasi conclusive del primo conflitto mondiale, era il 1918. Un dettaglio non da poco. Il più grande olocausto sanitario della Storia ebbe il triste merito di surclassare il primato di vite umane spezzate, record per l’appunto detenuto dalla guerra: 10 milioni i caduti sui campi di battaglia, tra i 50 e i 100 milioni, le persone vittime della spagnola, il 3/5 % della popolazione mondiale dell’epoca. Numeri superiori finanche alla Peste Nera. L’Italia fu investita da tre ondate epidemiche, e in Europa fu seconda per decessi solo alla Russia, contando 600.000 vittime, vale a dire pari al numero di soldati che persero la vita tra il 1915 e il 1918. La particolarità italiana fu che il morbo colpì con una certa aggressività la fascia più giovane della popolazione, in special modo i civili. Con ogni probabilità fu la profilassi militare applicata alle necessità belliche a salvaguardare parzialmente le truppe italiane, mentre gli anziani poterono contare sugli anticorpi sviluppati dopo l’ultima pandemia influenzale datata 1890
La spagnola era in verità americana. Stando alle accreditate ipotesi dello storico John M. Barry, autore del volume The great influenza (edito da Penguin), il primo focolaio si sviluppò nella contea di Haskell, in Kansas, dove il medico di campagna Loring Miner descrisse la patologia con sintomi simil-influenzali, ma di intensità insolita e talora letali. Haskell era una contea isolata e spopolata, il virus avrebbe potuto facilmente rimanere dov’era, senza riuscire a diffondersi nel resto del mondo: ma quello era tempo di guerra. Numerose furono le reclute che si mossero dalla contea a Camp Funston, uno dei maggiori centri di acquartieramento della nazione per l’addestramento di truppe da spedire su suolo europeo. In poche parole, quel virus tanto provinciale quanto pericoloso fu catapultato nel resto del mondo assieme ai soldati americani.
La tesi è stata poi confermata dalla giornalista scientifica inglese Laura Spinney nel suo recente 1918. L’influenza Spagnola. La pandemia che cambiò il mondo (edito da Marsilio). Tutto ebbe inizio dai malori del cuoco di Camp Funston, febbre, mal di gola, mal di testa, poi il moltiplicarsi dei casi. Nel frattempo però, complice il trasferimento dei soldati, l’epidemia aveva raggiunto i due terzi dei centri di reclutamento degli Stati Uniti: il danno era irreparabile, «a metà aprile l’influenza aveva già raggiunto il fronte occidentale».
Dalle prime linee il virus si propagò con rapidità: Francia, Gran Bretagna, Italia, Germania, Spagna, Polonia, poi alla fine di maggio dall’Africa giunse in India. Questo l’effetto domino della prima ondata.
In agosto si ebbe la seconda, ancor più letale della prima. I focolai: Brest in Francia, Freetown in Sierra Leone, Boston negli Stati Uniti. Il virus si sparse ovunque attraverso uomini e navi, e per lo più come conseguenza delle logiche belliche. I malati in forma leggera restavano in trincea, quelli più gravi e contagiosi tornavano a casa o in ospedali da capo affollati e promiscui, contribuendo così al contagio.
L’assenza di antibiotici (decisivi nella lotta alle polmoniti e alle infezioni batteriche), le precarie condizioni igienico sanitarie, le terapie grossolane, fecero il resto.
Anche la guerra delle etichette infuriava, da dove veniva il virus, chi era l’untore? È presto detto e nulla ha che vedere con la zona da cui si sarebbe poi estesa la pandemia influenzale. La nostra domanda è invece un’altra, perché passò al secolo come “spagnola”? La censura militare celava ogni notizia riguardante l’epidemia con l’intento di non demoralizzare una popolazione già pesantemente provata dallo sforzo bellico. La Spagna, neutrale, era l’unico Paese che consentiva invece di scriverne diffusamente sulle proprie testate: in terra iberica fu definita “soldato napoletano”, nome ispirato a un motivetto in voga. Del resto l’influenza aveva contagiato persino re Alfonso XIII e il suo primo ministro. Ecco perché “spagnola”.
La spagnola scemò nella primavera del 1919, repentinamente, proprio com’era apparsa.
Tra le vittime illustri il poeta Guillaume Apollinaire, il pittore Egon Schiele, l’autore del Cyrano de Bergerac Edmond Rostand, l’ex presidente brasiliano Fransisco de Paul Rodriguez Alves. Tante le celebrità guarite: da Ernest Hemingway a Theodore Roosvelt e Ezra Pound, fino al futuro imperatore d’Etiopia Hailé Selassié e al padre della Turchia moderna, Mustafà Kemal Atatürk.
Ma la spagnola ebbe anche effetti a lungo termine, influenzando, è proprio il caso di dire, quelli che sarebbero stati eventi futuri piuttosto importanti per la storia dell’umanità. Quali? La seconda guerra mondiale e l’invenzione della bomba atomica.
Il presidente Usa, Wilson, convalescente dalla terza e ultima ondata di spagnola, agli incontri di Parigi del 1919 parve l’ombra di se stesso: in questo modo a vincere fu la linea dura del ministro francese Clemenceau alla faccia della politica aperta e pacifica dei 14 punti espressa appena un anno prima proprio da Wilson. Umiliazione della Germania e ingentissime riparazione economiche furono le basi di quel malcontento popolare tedesco fido alleato per l’ascesa al potere di Hitler.
Meno nota la vicenda del fisico ungherese Leo Szilard, a cui la spagnola invece salvò la vita: febbricitante fu rispedito a casa, evitando la sorte del suo reggimento, travolto e spazzato via dall’esercito italiano guidato dal generale Armando Diaz. Trasferitosi in America, fece parte del gruppo impegnato nella produzione della prima bomba atomica.
La Storia sa essere davvero bizzarra ed, per dirla con le parole del batteriologo Hans Zissner, attivo sui fronti europei della Grande Guerra come ufficiale medico, è spesso scritta più dai microbi che dagli uomini.