Pubblicato poco meno di due mesi fa, l’ultimo lavoro di Gragnaniello continua a risuonare nella mente di chi l’ha ascoltato. Oggi, risuona anche tra le righe che leggerete.
Ora che il clima è caldo, ora che il sole torna a colorare ciò che di bello c’è da vedere, si delinea finalmente il momento giusto per le note di quest’album, Lo chiamavano vient’ ‘e terra, che necessitavano dello sfondo adatto per esprimere davvero tutto ciò che hanno da dire.
L’opera di Gragnaniello è così: rustica e di core, a tratti spontanea pur nella sua estrema attenzione alla tecnica; è in questo modo, difatti, che un artista collaudato – che sa di esser parte di storia, ormai – dimostra il proprio talento e la sua pregevole fattura. I suoni con cui l’album ci avvolge, dunque, non sono troppo distanti – concettualmente – da un prodotto d’artigianato assai ricco di dettaglio, ove ancora risulta possibile scorgere ogni processo di lavorazione.
L’artista napoletano, infatti, ha principalmente optato per un sound decisamente caro alle sue passate produzioni, puntando più ad un’opera di conservazione di antichi sapori, vecchie e care atmosfere, che ad un vero e proprio processo di innovazione.
Diciamo che, se volessimo leggere quest’album negli intenti, potremmo dire che Gragnaniello vuole sapientemente insegnarci che la vecchia scuola, quella di un popolo dalla lunga storia, non muore mai.
Nobile intento, certo, ma questo elemento va inevitabilmente a incidere anche sul pubblico di riferimento, e finisce per restringere il bacino d’utenza: il disco, in soldoni, non è per tutti. Gragnaniello punta anzitutto agli affezionatissimi, sia della sua musica che della propria terra; arriva poi a toccare chi vive l’area campana quotidianamente e con intensità, e poi, solo in ultima istanza, cerca di rientrare nelle corde di chi vuol scoprire per la prima volta un modo di suonare, e di raccontare, ormai stabilito e consolidato.
Gragnaniello, tirando le somme, resta nel suo, e si rende membro attivo di quella valida schiera di artisti che già in altra sede abbiamo definito retroguardia, mostrando ancora una volta il suo talento, la sua trascinante poesia, e la sua voce accattivante che si fa simbolo di una Napoli da scoprire con questo bel sole, coi colori che porta, e con questo rustico calore.