La barba è comunicazione: emblema di saggezza e di virtù, sinonimo di ferocia e virilità, per lo più segno di cesura col passato, il modo di portarla può raccontare tanto di chi la sfoggia

Dimmi che barba hai e ti dirò chi sei. Cos’hanno in comune “Che”Guevara e Gesù,  Nerone e Babbo Natale, Lello Arena e Luciano De Crescenzo, rabbini ebrei e imam musulmani, hipster e finti trasandati? La barba.
Folta o morbida, rude o appena pronunciata, ordinata o acconciata in forme eccentriche, non si tratta solo di look. Dall’antichità a oggi, col trascorrere dei secoli, col mutare delle religioni e della politica, la sua presenza ha assunto differenti valenze, la barba è comunicazione. Emblema di saggezza e di virtù, sinonimo di ferocia e virilità, per lo più segno di cesura col passato, il modo di portare la barba può raccontare tanto di chi la sfoggia.

Portare o meno la barba è stata, per secoli, la manifestazione esteriore di una specifica appartenenza e di una precisa scelta di vita. Ancora oggi il modo in cui un uomo o una donna si acconciano dà un’indicazione di come considerano se stessi, ma anche di come vogliono essere considerati. (Guidalberto Bormolini)

Gli antichi Greci la elevarono a modello di virilità, radersi significava essere definiti “femminucce”. A quel tempo solo due tipologie di persone se ne andavano in giro sbarbate, i fanciulli e le donne. Le barbe più famose, del resto, furono quelle degli Spartani: intrepidi guerrieri che costrinsero i codardi ad andarsene in giro con mezza faccia rasata, affinché fossero ben riconoscibili.

Ma quando, a partire dal IV secolo a. C., salì alla ribalta il conquistatore macedone Alessandro Magno (356-324 a. C.) tutto cambiò. Sebbene fosse considerato da tutti combattente valoroso, il giovane si radeva ogni giorno. Due le ipotesi, la verità nel mezzo. Se da una parte sembra attendibile la versione del voler apparire eternamente giovane, una sorta di essere immortale simil divino, dall’altra è anche probabile che, non potendo sfoggiare per natura una barba degna, prediligesse il rasoio. Naturalmente obbligò anche i suoi soldati a radersi, per evitare che i nemici potessero afferrarli per la barba. Ma Alessandro non si limitò a declamare la superiorità dei nobili e lisci macedoni in confronto ai rozzi nemici barbuti: dettò una vera e propria moda che varcando i confini del suo vasto regno, influenzò Greci e Romani.

Alessandro Magno nella Battaglia di Isso, Mosaico, Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Tutt’altro che , i primi avvenenti abitanti dell’Urbe vantavano lunghe barbe incolte, fin quando, all’inizio del III secolo a. C., non giunsero dalla Sicilia greca i primi barbitonsores, barbieri ante litteram. Tra gli illustri sbarbati, dapprima Scipione l’Africano (235-183 a. C.), poi gli imperatori Augusto (63 a. C.-14 d. C.) e Traiano (53-117 d. C.): i loro sudditi non esitarono a seguirne il look. Eccezione fu Nerone (37-68 d. C.), il quale, per timore di eventuali congiure, non amò il rasoio del barbiere tenendolo sempre a dovuta distanza dal suo collo. Seneca, suo precettore, considerò la barba come un segno distintivo dei grandi pensatori. Ma spesso, come d’altronde ammonivano i loro contemporanei, la barba non fa il filosofo.

Ritratto di Marco Aurelio, Collezione Farnese, Museo Archeologico Nazionale di Napoli


L’amore per la filosofia fu la ragione che spinse l’imperatore Adriano (73-138 d. C.) a lasciarsi crescere la barba, sebbene alcune malelingue sospettassero un fine legato alla propria vanità, volendo celare le imperfezioni sul suo volto. Per un secolo i suoi successori fecero lo stesso.
Altri tempi, invece, quelli dell’ultimo imperatore pagano: Giuliano l’Apostata (332-363) venne deriso dagli abitanti cristiani di Antiochia per la sua folta barba ormai fuori moda. La sua scelta era dettata da fini politici: un progetto di restaurazione degli antichi ideali e dei vecchi culti pagani, ovvero il reale motivo di contestazione da parte degli abitanti di Antiochia.

Tra il IV e il VI secolo d. C. la barba cominciò ad apparire nelle raffigurazioni di un volto che i cristiani amavano ed amano come nessun’altro: quello di Gesù Cristo. Fino a quel momento gli artisti lo ebbero a dipingere senza peli, come imponeva la moda. D’improvviso, però, una fitta peluria crebbe sul suo volto. Il mondo cristiano ereditava inevitabilmente il bagaglio del simbolismo antico e classico, barba compresa. Virilità e autorità, ma anche un richiamo all’ebraismo. Portare la barba per gli Ebrei era un precetto religioso piuttosto antico. Nel Levitico (terzo libro dell’Antico Testamento), tra le leggi che Dio consegnò a Mosè per il popolo d’Israele c’è ne era una che vietava loro di radersi. Nemmeno l’Islam fa eccezione, poiché anche nella Sunna (la seconda fonte della legge islamica dopo il Corano) vigeva lo stesso divieto espresso nel Levitico. Ma perché per le religioni monoteiste la barba assunse un ruolo così importante?


Ne siamo quasi certi in quanto già le prime rappresentazioni della cristianità (icone o tele) riportavano la figura di Gesù con barba e capelli lunghi.

Secondo il misticismo ebraico, la sapienza, sotto forma di influsso celeste, si propaga dalla mente divina verso il basso “attraverso quei peli”. E infatti una delle minacce di Dio a Israele era la perdita della barba, come segno dell’ignominia in cui sarebbe caduto il popolo se si fosse ribellato ai comandi divini. (Guidalberto Bormolini)

Ragion per cui i Padri della Chiesa e i primi monaci, tutti rigorosamente barbuti, associarono la barba alla santità e alla vita ascetica. Eremiti, vescovi o santi: meglio pregare che radersi davanti ad uno specchio.

Nel corso del Medioevo la barba fu considerata emblema di dignità e onore. Pratica e funzionale diede maggior valore alla parola data o ai documenti ufficiali: tre peli della barba inseriti nel sigillo di una lettera le avrebbero conferito garanzia di autenticità.
Molti antichi codici germanici la tutelarono, chi tagliava la villosità altrui doveva pagare un’ammenda. Vi furono anche decreti, come quello del Barbarossa, che proibirono di afferrare un uomo per il pizzetto o di strappagli i peli.  Diversamente, la battaglia più importante di Pietro il Grande, incoronato zar di Russia nel 1682, fu quella di occidentalizzare e modernizzare il Paese, al termine di un lungo viaggio in Europa che lo convinse a cambiare la tradizione. Una delle norme che impose fu il taglio della barba, considerata una moda tradizionale e superata.

Roberto Saviano

In tempi più recenti, la valenza politica di un volto barbuto si è resa più evidente rispetto al passato. Mutano le ideologie, mutano le barbe: dapprima lo spettinato barbone di Karl Marx, poi il pizzetto di Lenin, i baffoni di Stalin e i baffetti di Hitler. Successivamente ai visi via via sempre più puliti dei rappresentanti della politica andarono opponendosi le barbe antiborghesi, rivoluzionarie e anticonformiste di partigiani, castristi e sessantottini.

Ancora all’inizio degli anni sessanta la barba era fascista – ma occorreva disegnarne il profilo, rasandola sulle guance, alla Italo Balbo – nel sessantotto era stata contestataria, e ora stava diventando neutra e universale, scelta di libertà. La barba è sempre stata maschera.
(Umberto Eco)

Ai nostri giorni la barba rimane status symbol per quanti vogliano distinguersi, politicamente o socialmente, per chiunque voglia assumere un’aria più saggia o affascinante, misteriosa. Di questi tempi, in cui la barba è un trend, è difficile però decretare se sia più seducente e singolare un volto barbuto o uno “pulito”.

In ogni caso, barbieri della Campania non disperate, ne passeranno ancora e tante di barbe sotto i vostri rasoi.  E per tutti voi che invano coltivate i vostri radi peletti , fatevi rincuorare da Luciano di Samosata

Se i filosofi si misurassero in base alla barba, il primo posto spetterebbe alle capre.

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