Micro-universi narrativi? Ci sono. Aura di mistero? C’è. Attesa spasmodica? Secondo alcuni, c’era anche quella. Liberato torna, abbonda, ed ora l’alone di mistero lascia spazio ad un unico dubbio: ce n’era davvero bisogno?

Niente speculazioni, niente misteri. La protagonista di questo articolo sarà solo la musica di un artista che nell’arco di due anni ha stuzzicato, incuriosito e (in parte) allietato con brani tanto semplici quanto interessanti.

Liberato ha sempre giocato sapientemente le proprie carte, proponendo pezzi che, solo col tempo, potessero poi rivelarsi strettamente connessi, interlacciati, facenti parte di un sistema creativo che funzionava soprattutto se osservato nel suo insieme.

Liberato, dunque, ha mosso decisamente bene i suoi primi passi: da un lato perché ha messo in campo una buona dose di creatività, dall’altro perché, con queste sue grandi storie – a cui si somma l’aura di mistero che circonda la sua figura – è riuscito a creare un grado di interazione spettacolare tra lui, voce sconosciuta, e il suo pubblico.

Fino a ieri, giornata del 9 Maggio 2019, Liberato aveva all’attivo sei pezzi: Nove Maggio, Tu t’e scurdat ‘e me, Gaiola Portafortuna, Me staje appennenn’ amò, Intostreet, Je te voglio bene assaje.

Oggi, invece, le cose risultano essere ben diverse: Liberato pubblica cinque nuovi brani: Oi Marì, Tu me faje ascì pazz, Guagliò, Nunn’a voglio ‘ncuntrà, Niente.

Queste nuove produzioni sono state proposte come base musicale per una miniserie, presente sul canale Youtube di Liberato, chiamata Rendez Vous.

Il totale di 11 brani, dunque, è stato racchiuso in un unico album che, per volere dell’artista, non ha un nome.

Come dicevamo già nel sottotitolo, quindi, Liberato torna, e abbonda. Ma qual è il risultato che ne ottiene, in termini qualitativi?

Per rispondere, bisogna partire dall’assunto che la musica del cantante partenopeo è basata interamente sul concetto di semplicità. Il che, sia chiaro, può essere un fattore sicuramente non screditante. Ricordiamo sempre che semplicità non è sinonimo di banalità. Difatti, ciò che caratterizza maggiormente ognuno dei brani di Liberato è una buona cura per la produzione, una voce discreta ma sufficientemente espressiva, e ultimo, ma non per importanza, una resa dei testi assolutamente minimale, con pochi versi ripetuti, che hanno il solo compito di abbellire delle già ottime basi musicali (e, per quanto possibile, di aggiungere un minimo di storytelling).

Insomma, gli elementi del cocktail di Liberato sono sempre stati questi, e sono sempre stati perfetti, fin quando ci si limitava alla pubblicazione di singoli. Se si sceglie di pubblicare un album, invece, le regole cambiano, e se giochi sempre con la stessa formula, non è detto che i risultati siano i medesimi. Questo album ne è l’esatta dimostrazione.

Il progetto, se osservato nella sua totalità, risulta infatti fin troppo ripetitivo, e incapace di tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore che, arrivato circa alla metà delle tracce, tende ad interrompere l’ascolto per via della ridondanza dei temi musicali  che fa percepire undici brani come un unico lungo filone poco incisivo.

I nuovi brani si fanno spazio tra le vecchie produzioni e, se analizzati singolarmente, riescono ad acquisire maggior carattere. Ciò, però, avviene solo se li si ascolta singolo dopo singolo, un po’ per volta (esattamente come accadeva con qualsiasi altro brano di Liberato in precedenza).

È indubbia, per esempio, la qualità di canzoni come Niente, o Tu me faje ascì pazz, che risultano essere orecchiabili e piacevolissime, ma soprattutto scandite da una giusta durata. Di contro, si pongono la vecchia conoscenza Me staje appennenn’ amò e la nuova arrivata Nunn’a voglio’ncuntrà, che con le rispettive durate di cinque e sette minuti (a cui si somma la già citata tediosità) risultano essere praticamente interminabili.

Perdonerete il mio voler porre l’accento sulla ripetitività, o su elementi come la durata dei brani, ma capirete bene che se un album che dura appena 45 minuti sembra invece che ne duri il doppio, significa che, forse, qualcosa in fase di produzione e di scrittura andava decisamente rivisto.

Concludo concedendo un importante punto a Liberato, in merito ad un aspetto dell’album su cui non tutti gli artisti ripongono la medesima attenzione: la tracklist del lavoro dell’artista napoletano, infatti, è decisamente ben equilibrata, con la giusta alternanza tra vecchi singoli e nuovi brani.

Infine, tutto ciò che rimane da dire è che Liberato merita un plauso per ciò che ha costruito in questi due anni, e che quest’ album dev’essere solo il primo, acerbo lavoro di un artista che, con la sua creatività – e quel pizzico di sensibilità che lo contraddistingue – può sicuramente ottenere notevoli risultati.

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