A Bellona è il 6 ottobre, accade qualcosa di impensabile, ma soprattutto di irreparabile. Due soldati tedeschi scavalcano il muro di cinta di un giardino ed entrano in casa di un artigiano in via della Vittoria, la richiesta, un po’ di ospitalità; ben presto però i due “ospiti” svelano, forti di una sbronza, la loro natura arrogante e violenta.

Abbiamo riaperto lArmadio della Vergogna e stavolta ci siamo ritrovati a Bellona, in provincia di Caserta. Comune situato alle pendici occidentale del Monte Grande, sorse in epoca normanna e nel corso del Medioevo divenne uno dei trentasei casali di Capua, alla quale fu sottomesso al XVI secolo, quando ottenne il titolo di “università”, e cioè la possibilità di governarsi in autonomia.

Ma qui sono state scritte alcune delle pagine più tristi della Storia recente del nostro Paese.

È il 1943, l’Italia fascista è nel vivo del secondo conflitto mondiale, ma le cose per i regnanti, per il governo e per il popolo non vanno così bene. L’impreparazione italiana all’appuntamento bellico si palesa fin da subito con i fallimenti e le disfatte militari in Grecia, Nord Africa, e finanche, poche ore dopo la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, contro una Francia allo scompiglio dopo l’invasione nazista. Dopo lo sbarco in Sicilia dell’esercito Alleato (9-10 luglio), il 25 luglio il regime crolla. Mussolini, dopo aver perso il consenso e la fiducia del Re e di parte dei maggiori capi fascisti, come Bottai, Grandi e Ciano, viene prima esautorato del suo potere e poi fatto arrestare e condotto in un carcere segreto sul Gran Sasso. L’8 settembre all’annuncio dell’armistizio con gli Alleati, segue il disfacimento dell’esercito italiano e l’occupazione nazista della penisola. Con la disgregazione delle superstiti forze armate italiane, comincia anche l’occupazione tedesca della capitale, abbandonata dal re e dal governo che riparano così a Brindisi, dando vita al Regno del Sud e prendendo contatti con gli Alleati, al fianco dei quali, il 13 ottobre, entrano in guerra contro il Reich, mentre a Salò s’istituisce sotto il controllo tedesco il governo nazifascista della Repubblica Sociale Italiana.

A Bellona è il 6 ottobre, accade qualcosa di impensabile, ma soprattutto di irreparabile. Due soldati tedeschi scavalcano il muro di cinta di un giardino ed entrano in casa di un artigiano in via della Vittoria, la richiesta, un po’ di ospitalità; ben presto però i due “ospiti” svelano, forti di una sbronza, la loro natura arrogante e violenta. Un parente dell’artigiano tenta di persuadere i militari invitandoli alla ragione ma la situazione sembra destinata a degenerare: uno dei soldati spara un colpo di pistola colpendo l’artigiano al collo. L’uomo cade a terra sanguinante. Poco dopo ecco giungere i nipoti dell’uomo armati di rivoltella e bombe a mano e il lancio dell’esplosivo colpisce a morte uno dei due tedeschi, mentre l’altro, ferito, fugge ed informa il comando.

All’alba 7 ottobre scoppia la rappresaglia, ecco il castigo per i bellonesi: squadre di SS bloccano le strade del paesino dando inizio al rastrellamento. Vennero prese duecento persone tra ragazzini, giovani, vecchi, sacerdoti, professionisti, lavoratori, operai, studenti, militari. Riuniti in piazza Umberto I furono poi condotti nella vicina cappella di San Michele Arcangelo con il pretesto di essere avviato ai lavori. I presenti intuirono la tragicità del momento, ma tra loro vi erano anche alcuni religiosi, come l’Arciprete don Andrea Rovelli, un barlume di illusoria speranza ancora illuminava i loro cuori. Il silenzio e i loro pensieri furono interrotti dal fragore di una camionetta. Un ufficiale entrato nella Cappella, attraversò il corridoio con passo cadenzato e dall’altare, senza alcun devoto ossequio, voltò le spalle e invitò tutti a muoversi, c’era da lavorare. L’ennesimo inganno, solo per mezzo di questa atroce finzione li avrebbe convinti a incamminarsi verso il loro straziante destino. Il primo gruppo di dieci persone uscito dalla Cappella, sotto la scorta di due nazisti, attraversò via della Vittoria, raggiungendo la cava di tufo alla periferia nord della Città, al confine tra Bellona e Vitulazio dove, dopo essere stati spinti sul ciglio, vennero massacrati dal plotone di esecuzione. I corpi furono gettati nella cava profonda circa 25 metri, e coperti dal terreno fatto crollare con l’esplosione delle granate. Dopo la prima esecuzione, altri dieci si accodarono ad egual sorte e così a seguire sino a raggiungere quota 54 vittime.

1. Abbate Domenico, anni 27, padre passionista.
2. Addelio Ernesto, anni 18, agricoltore.
3. Antropoli Salvatore, anni 33, sacerdote.
4. Aurilio Secondino, anni 16, manovale.
5. Cafaro Benedetto, anni 43, operaio.
6. Cafaro Luigi, anni 23, agricoltore.
7. Carbone Vincenzo, anni 51, operaio.
8. Carusone Francesco, anni 12.
9. Carusone Giovanni, anni 28, agricoltore.
10. Carusone Secondino, anni 26, agricoltore.
11. Carusone Vincenzo, anni 16, agricoltore.
12. Costa Remo, anni 37, operaio.
13. De Filippo Ferdinando, anni 45, agricoltore.
14. De Filippo Michele. anni 20, agricoltore.
15. Della Cioppa Cesare, anni 30, sarto.
16. Della Cioppa Pasquale, anni 55, agricoltore.
17. Di Nuccio Giuseppe, anni 19, studente.
18. Esposito Ciro, anni 25, artigiano.
19. Esposito Giovanni, anni 29, artigiano.
20. Filaccio Antimo, anni 57, agricoltore.
21. Filaccio Gennaro, anni 15, studente passionista.
22. Fusco Antonio, anni 64, agricoltore.
23. Fusco Carlo, anni 18, studente.
24. Fusco Raffaele, anni 60, artigiano.
25. Giudicianni Angelo, anni 20, studente.
26. Giudicianni Giuseppe, anni 48, agente di sanità.
27. Giudicianni Giuseppe, anni 52, esercente.
28. Giudicianni Luigi, anni 23, passionista.
29. Liguori Giovanni, anni 54, esercente.
30. Limongi Alfonso, anni 20, studente.
31. Limongi Gaetano, anni 36, impiegato.
32. Limongi Giovanni, anni 32, sacerdote.
33. Limongi Pasquale, anni 33, farmacista.
34. Lo Prete Giuseppe, anni 27, militare.
35. Manco Raffaele, anni 21, operaio.
36. Materia Giuseppe, anni 53, funzionario.
37. Nardone Valentino, anni 15, manovale.
38. Patruno Nicola, anni 28, militare.
39. Perileri Michelangelo, anni 36, agricoltore.
40. Perrella Raffaele, anni 26, operaio.
41. Petriccione Lorenzo, anni 33, guardia penitenziaria.
42. Ronzino Vincenzo, anni 31, militare.
43. Rovelli Andrea, anni 67, sacerdote.
44. Rucco Luigi, anni 42, medico.
45. Rullo Armando, anni 19, operaio.
46. Russo Carlo, anni 35, operaio.
47. Simeone Ciro, anni 56, vigile urbano.
48. Tascione Nicola Biagio, anni 43, operaio.
49. Villano Francesco, anni 29, vice-brigadiere Carabinieri.
50. Ignoto.
51. Ignoto.
52. Ignoto.
53. Ignoto.
54. Ignoto.

Emblematica la stele commemorativa ai caduti, come del resto l’epigrafe dettata da Benedetto Croce:

Anche in questa piccola terra sorge una delle innumeri stele/che in ogni parte d’Europa/segneranno nei secoli il grido/dell’offesa umanità/contro una gente creduta amica/nell’opera del civile avanzamento/e nella quale orrenda si è discoperta/armata di tecnica moderna/la belva primeva. Bellona/in memoria dei 54 suoi cittadini/padri di famiglia giovinetti innocenti/pii sacerdoti/ sotto specie di condurli a lavori/tolti alle loro case/e per delirio di vendette/dalla fredda rabbia tedesca/il giorno 7 ottobre 1943 trucidati/e i corpi gettati nella prossima cava.

Teatro di terribili eccidi furono anche i paesi confinanti. A Teverola vennero fucilati 19 carabinieri rimasti fedele alla casa Savoia; in una villa di Garzano raffiche di mitra spezzarono la vita di tanti cittadini; anche a Capua non mancarono rappresaglie. A Caiazzo furono trucidate 23 persone. Qui un ufficiale della Wehrmacht vide dei contadini al lavoro e li interrogò chiedendo dove fosse il nemico. La risposta ingenua di uno dei braccianti costò la vita di molti innocenti. Il nemico era a Nord, disse, ovvero la direzione verso la quale avevano visto dirigersi i tedeschi.

I contadini di Caiazzo non erano degli eroi né potevano essere considerati politicizzati. Erano degli ingenui che credevano saldamente nelle loro idee e nella giustezza di esse. Se non si coglie questo elemento primario che sta alla base della stessa lotta di liberazione, è difficile comprendere l’importanza ideale e storica della resistenza della lotta di popolo e come secondo  Risorgimento. (Arrigo Patacco)

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