Archi cavalcano le onde di un mare di note suonate al pianoforte. Spinte briose per far fronte alle onde più alte, bracciate più calme nei momenti di malinconica quiete. Questo è ‘Mirror’, album d’esordio di Damiano Davide.

Pubblicato il 29 Gennaio, Mirror è l’album d’esordio del compositore, pianista e direttore d’orchestra Damiano Davide, in collaborazione con Apogeo Records – che ormai un po’ abbiamo imparato a conoscere, e che è sempre bello veder tornare qui, sulle pagine di Terre di Campania. Nove tracce, trenta minuti di ascolto, LP (che sa tanto di concept album) totalmente strumentale. Inutile dirlo, Mirror è stato un arrivo inaspettato, e quando mi ci sono imbattuto, non è che fossi prontissimo. Ancora adesso, al momento in cui vi scrivo, sento un senso di inadeguatezza nel parlarvi di tutto quanto questo lavoro sia, e di ciò che comunichi.

Volessimo tentare, anche solo per un attimo, di utilizzare la mia esperienza personale come strumento di consiglio per voi, direi ciò: già emotivamente provato, Mirror è stato l’ultimo, decisivo, inaspettato sgambetto che mi ha portato a perdere il controllo della mia emotività. Esplodere, riversare quanto si ha dentro e ricacciarlo fuori, nei mille modi in cui un essere umano riesce in ciò.

Azzarderei dunque a dire che il lavoro svolto da Damiano Davide riesce, forse anche furbamente, ad essere cassa di risonanza per qualunque dei nostri pensieri, delle nostre emozioni. Enfatizza le sensazioni della nostra interiorità più o meno come farebbero le più studiate e calibrate colonne sonore cinematografiche che possano venirci in mente (non reputo casuale, quindi, che già da Canvas – primo brano dell’LP – io, nella mia intimità, abbia sentito riecheggiare un po’ di quel James Newton Howard intento ad arricchire i momenti più emotivamente devastanti di quella perla che fu Unbreakable – Il Predestinato).

Certo è, però, che il paragone con le soundtrack cinematografiche richiede comunque un’evidenziazione delle differenze tra i due campi: difatti, se le colonne sonore sono lì (anche e soprattutto) per evidenziare momenti topici di una narrazione cinematografica che ci guida in un percorso emotivo prestabilito (e che quindi determina già alla base i sentimenti che dovremo poi provare lungo il corso dell’opera), ecco che il lavoro del compositore campano ha ovviamente un diverso modus operandi, e culmina così in un risultato altrettanto differente.

Sì, perché Damiano Davide, con Mirror, crea una narrazione interna – fatta di introspezione e definizione di sé tra brio e profonda malinconia che si susseguono nell’organicità e perfetto concatenamento dei brani (che mettono in risalto la mia iniziale ipotesi di un sapore più da concept album piuttosto che da “semplice” LP) – cui però si affianca la narrazione, privata e intima, di ognuno tra noi ascoltatori. La sequenza dei nove brani scorre ugualmente tanto per noi che per il maestro d’orchestra campano, ma i significati – e le immagini che assoceremo ad ognuno dei passaggi dell’album – saranno quanto mai diversi ma anche complementari, perfettamente incastrabili e incastrati. Volendo dunque riprendere, come esempio, l’immagine proposta ad inizio articolo di Mirror come “sgambetto emotivo”, appare evidente che tale immagine possa valere tanto per me, che sono uno dei tanti ascoltatori, sia per Damiano Davide stesso. I motivi, nonché le conseguenze, di questo metaforico sgambetto che è stato per noi Mirror saranno ovviamente diversi, ma perfettamente affiancabili nel contesto di un album che racconta ma fa anche raccontare – dando appunto eco, come una già citata cassa di risonanza – qualcosa all’ascoltatore.

Mirror si costruisce su archi e pianoforte – senza dimenticare fisarmoniche e suoni più elettronici, come quelli di Entr’acte I ed Entr’acte II in un continuo ondeggiare di movimenti lenti, suggestivi, pungenti nella loro malinconia, e passaggi ritmati, rapidi nel tocco e briosi, vuoi per esercizio di stile (Mirror, che dà il nome all’album, o anche Fibonacci, sesta traccia dell’album, è un esercizio tecnico dalla cura impressionante, e se poi ti ricordi che già qualcun altro ha riproposto, in passato, quella sequenza in musica… ti diverti ancor di più), vuoi per esigenze “narrative” e di costruzione. Si tratta di un LP che nasce da una chiara visione d’insieme – anche nei lavori a quattro mani come Plague, secondo brano dell’album eseguito con il rinomato musicista Lino Cannavacciuolo – da un progetto i cui elementi sarebbero potuti essere scanditi così bene solo da chi la musica la conosce davvero bene. Un progetto organico, che scorre di traccia in traccia con una naturalezza che non è sempre così facile riscontrare.

Il compositore Damiano Davide, dunque, firma un esordio che colpisce mente e corpo, che sconvolge e fa esplodere la sensibilità di chi lo ascolta, e al tempo stesso racconta di sé, della propria introspezione.

Mi congedo con queste poche, ultimissime battute: l’ascolto è consigliatissimo, specie in quei momenti di raccoglimento che ognuno di noi – chi in un modo, chi in un altro – si concede per vivere meglio con sé stesso. Lasciatevi andare allo sgambetto, accettatelo di buon grado e capitolate nei piani più profondi della vostra sensibilità.

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