Al suo esordio, Giovanni Amirante, classe ’93, approfondisce il tema della Restanza, mescolando versi ben ragionati a tonalità musicali simultaneamente vibranti e malinconiche, ariose e grevi.
Pubblicato oggi, 23 Ottobre 2020, Giovanni Amirante firma il suo toccante, complesso esordio. Dieci ettari è il nome del singolo che ci introduce alla scrittura del giovane cantautore napoletano che, vuoi per scelte, vuoi per quelle situazioni della vita, ha colto tanto dai suoi spostamenti e dal suo ritorno a Napoli. Ognuno di quegli spostamenti, ognuno di quei frutti raccolti si dislocano lungo i quattro minuti di musica che osserviamo oggi.

Anzitutto, la prima considerazione su cui soffermarci è che questo brano è Indie nella sua definizione letterale (e quindi, inevitabilmente, ben discostata dai canoni attuali del genere): puro, sia nella stesura che nella realizzazione, e libero da qualsivoglia influenza o contaminazione più popular. Un cantautorato che sceglie sì immagini di gran fantasia e versi traboccanti di più intenso significato, ma che sceglie di non smorzarsi a metà, di non raccontarsi con frasi interrotte, per privilegiare piuttosto il prendersi il suo tempo, il dilungarsi (sono certo mi passerete il termine…) fino ai quattro minuti col solo obiettivo di esplicitarsi completamente.

Alla base dei versi di Dieci ettari c’è il già citato concetto di restanza, che trova origine nei ragionamenti dell’antropologo Vito Teti. Quest’ultimo ha inteso il restare come atto dinamico, creativo, assolutamente non stagnante o antitetico al pensiero del viaggio. Restare significa ripensare, re-immaginare i propri luoghi e la propria vita, stabilire un contatto sempre nuovo e – per l’appunto – dinamico con questi elementi. Amirante, in maniera sentita e ben ragionata, applica tale intuizione di carattere antropologico al suo testo, finendo così per raccontare della restanza con sé, con i propri luoghi, e di quel senso di appartenenza che si fa piccolo rispetto ai mastodontici valori moderni della globalizzazione e del conseguente appiattimento, culturale e sociale, che ne consegue. Volendo riassumere, Dieci ettari ci aiuta a ripensare, a riqualificare il terreno che abbiamo sotto i piedi.

Resterebbe da chiedersi, però, come Giovanni Amirante ci abbia raccontato tutto questo: in versi, certo, ma accompagnati da che musica? E’ qui che il nostro discorso potrebbe inevitabilmente ampliarsi notevolmente. La musica di Amirante è fatta di archi ariosi e toccanti, di un piano vibrante e al tempo stesso greve. E’ fatta di armonia e di contrasti, di sensazioni ossimoriche tra loro, di cura al dettaglio e di rimandi ad un vecchio cantautorato che, sono certo, richiamerà alle orecchie dell’ascoltatore i diversi nomi dei giganti della canzone italiana. E’ musica che guarda indietro, viaggiando però sempre in avanti. E’ un cantautorato che reinterpreta vecchi modus operandi, rimaneggiandoli con rispetto e donando loro nuova linfa vitale. A chiudere il cerchio, la meravigliosa voce di Amirante, leggera nel cantare i suoi versi appassionati.

In conclusione, non posso che dirlo apertamente: scoprire Amirante è stato un piacere grande, un piacere vero. Dieci ettari è un brano a cui dedicare un ascolto concentrato, con orecchie e cuore sintonizzati sulle medesime frequenze. Restare, qualunque sia il senso che vogliamo attribuire alla parola, può essere la giusta scelta, ed io sono felice che Amirante mi ci abbia fatto pensar su.  

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