L’antesignano del genere, inteso come forma di espressione popolare, però, fu un napoletano, originario di Giugliano in Campania. Giambattista Basile, scrittore e appassionato di letteratura del periodo barocco, le fiabe e Lo cunto.

Se vuoi che i tuoi figli siano intelligenti, leggi loro delle fiabe. Se vuoi che siano più intelligenti, leggi loro più fiabe.
(Albert Einstein)

Le origini delle fiabe si perdono nella notte dei tempi. Vicende di esseri umani, di esseri sovrannaturali, orchi, streghe, gnomi, maghi, fate e folletti, s’inseguono fin dall’antichità. Nate da tradizione popolare, narrate e tramandate oralmente di generazione in generazione, saranno poi trascritte in tutto il mondo, studiate, amate. Merito forse anche della loro natura simbolica, costituite come sono da schemi e dettami ben interpretabili, che consentono ai bambini di dare un senso alla realtà, si pensi ai primi contatti con alcuni antitetici binomi esistenziali quali bene/male o gioia/dolore. La fiaba diviene così un modello, un vero e proprio “cult”: i suoi elementi verranno rielaborati da numerosi scrittori per scrivere romanzi e novelle a carattere fantastico, mentre oggi approdano nei cinema, nella televisione, nei videogiochi.

Credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire a educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo.
(Gianni Rodari)

Un genere letterario che, inevitabilmente, rievoca celebri penne: i fratelli Grimm, Charles Perrault, Hans Christian Andersen, l’italiano Carlo Collodi, famosissimi nel mondo per aver concepito innumerevoli fiabe, opere che hanno fatto sognare (talvolta non dormire) milioni di bambini. Sono almeno sei le caratteristiche che generalmente accomunano tra loro le fiabe. L’indeterminatezza, personaggi, epoca e luoghi sono raramente descritti, quasi sempre indefiniti e remoti, quasi mai nominati (C’era una volta, In un paese lontano); l’inverosimiglianza, gli episodi narrati sono spesso accadimenti impossibili e i personaggi piuttosto inverosimili o inesistenti nella realtà quotidiana; il manicheismo morale, quello descritto è sempre un mondo nettamente distinto in due poli, non esistono vie di mezzo, si sta o da una parte (ad esempio il bene) o dall’altra (ad esempio il male); reiterazione e ripetizione, i motivi sono sempre ricorrenti (elementi che si ripropongono tra le fiabe), come esiste una ricorrenza narrativa anche di frasi o formule magiche; l’apoteosi finale, c’è sempre, o quasi, un lieto fine, pagato, va detto, al prezzo di innumerevoli sacrifici; lo scopo didattico, vi è sempre una morale, anche se non espressa chiaramente, che insegna a rispettare la famiglia, onorare le istituzioni, ad essere generosi con gli ultimi, coraggiosi con i prepotenti, migliorando, in tal modo, il proprio destino.

L’antesignano del genere, inteso come forma di espressione popolare, però, fu un napoletano, originario di Giugliano in Campania: Giambattista Basile, scrittore e appassionato di letteratura del periodo barocco, nato il 15 febbraio 1566 e venuto a mancare il 23 febbraio del 1632. Una vita di viaggi e incarichi. Come soldato nelle milizie e sulle navi della Repubblica fu al servizio di Venezia (1600-1608); in seguito fu operativo in Mantova presso la corte di Ferdinando Gonzaga, nominato cavaliere e conte palatino (1612); qualche anno più tardi divenne governatore di Aversa e della terra di Giugliano (1626).

La sua vera e piena affermazione arrivò quando cominciò a dedicarsi alla scrittura in dialetto, con lo pseudonimo di Gian Alesio Abbattutis. Dal suo genio presero vita le Muse napolitane (9 egloghe a sfondo moralistico-satirico, quadri di quotidianità napoletana, che apparvero solo nel 1635) e il suo “best seller”, Lo cunto de li cunti ovvero lo trattenimiento de peccerille.
Lo cunto, pubblicato postumo a Napoli tra il 1634 e il 1636, si presenta come un vero e proprio gioiello narrativo, una raccolta di 49 racconti fiabeschi, articolati in cinque giornate e inseriti in una cornice, che altro non è che il cinquantesimo racconto. È lo stesso titolo che vuol alludere a questo originale schema compositivo. Un racconto iniziale dal quale, prima che abbia termine, se ne diramano altri 49: dieci nei primi quattro giorni, nove nell’ultimo, in cui il nono richiama analogicamente l’avventura che aveva preso il via dal cunto principale, mentre il decimo è assente, poiché altro non è che il completamento della narrazione madre.

Chi cerca chello che non deve, trova chello che non vole. 

Sebbene si tratti di un libro di fiabe, il suo capolavoro presenta sei racconti che si distaccano dal genere: il riferimento è a Lo compare, Li due fratelli, Vardiello, La serva d’aglie, La soperbia castegata, La sapia. Inoltre, tutti i cunti, eccezion fatta per Lo viso, vantano un lieto fine. Ciascuna delle cinque giornate (da qui l’altro nome, Pentamerone) si apre con una ‘Ntroduttione. L’intro della prima giornata corrisponde al cunto principale, dal cui interno sono generati gli altri 49 cunti, raccontati, a turno, da dieci esperte e abili narratrici, presso la corte del principe Tadeo. Zeza scioffata, Cecca storta, Meneca vozzolosa, Tolla nasuta, Popa scartellata, Antonella vavosa, Ciulla mossuta, Paola sgargiata, Ciommetella zellosa e Iacova squacquarata, rappresenterebbero il capovolgimento grottesco della brigata cortese del Decamerone di Giovanni Boccaccio.

Diversi sono gli episodi che hanno avuto illustri imitatori. Zezolla divenne poi la Cenerentola di Perrault; Cagliuso Il gatto con gli stivali dello stesso Perrault e di Tieck; Il cuorvo e Le tre cetre rispettivamente il Corvo e l’Amore delle tre melarance di Gozzi. Numerose sono state anche le citazioni cinematografiche o anche i riferimenti diretti. Il primo ciak è ispirato al testo di Basile è stato C’era una volta del regista Francesco Rosi, un film girato nel 1967, con protagonisti del calibro di Dolores del Rìo, Sophia Loren, Omar Sharif, Georges Wilson e Leslie French. Decisamente più recente l’esplicita trasposizione cinematografica proposta nel 2015 da Matteo Garrone, Il racconto dei racconti, ispirato da tre fiabe del Basile: La cerva fatata, La pulce, La vecchia scorticata. La prima storia presenta una regina che ha smesso di sorridere, pervasa dalla causa tristezza per un figlio che non riesce ad avere, e per il quale sarebbe disposta a qualsiasi sacrificio. Il secondo episodio narra di un re che, geloso di sua figlia, sceglie di darla in sposa a chiunque riesca a vincere il torneo organizzato da egli stesso, sicuro del fatto che nessuno dei pretendenti potrà uscirne vincitore. La terza vicenda racconta di due vecchie sorelle che, con l’inganno, brameranno le attenzioni di un re voglioso per risollevare il loro rango sociale.
Altro adattamento, prima teatrale (Roberto De Simone nel 1976), e poi sul grande schermo (Alessandro Rak nel 2017), è quello della Gatta Cenerentola (l’eroina Zezolla).

Ogni nuova vita richiede la perdita di una vita. L’equilibrio del mondo deve essere mantenuto! (Negromante – Il racconto dei racconti)

Lo cunto de li cunti si pone in un momento piuttosto significativo della storia linguistica e letteraria della lingua napoletana. Nella prima metà del XVII secolo andò affermandosi una vera e propria tradizione letteraria riflessa in lingua napoletana, che ha le sue radici, oltre che in Basile, in Giulio Cesare Cortese, autore di una notevole produzione in napoletano, un parterre che abbraccia vari genere, dal poema in ottave (Il viaggio di Parnaso) al romanzo in prosa di matrice alessandrina (Li travagliuse ammure de Ciullo e Perna), dalla favola pastorale (La rosa) al poema eroicomico (La Vaiasside, Micco Passaro ‘nnammorato). Altro pilastro è Felippo Sgruttendio, autore del canzoniere satirico La torba a taccone.

Quale fu la Napoli del Basile? Una delle più grandi città d’Europa, capitale del viceregno di Spagna, vivificata da una quotidianità complessa ed eterogenea, uno straordinario crogiolo linguistico in cui si fondevano varianti del contadino, dialetti meridionali, componenti di comunità straniere, connotati spagnoli. Un tempo in cui si svilupparono diffuse attività di spettacoli e rappresentazioni, realizzate in spazi pubblici quali le piazze, il convito, le feste, le scene, dove il minimo comun denominatore fu l’uso della lingua locale. 

E quale fu la fortuna della sua opera? Molto popolare a Napoli, in seguito alla prima edizione (1636) il Cunto contò ben sei ristampe – non tutte complete, in effetti– nel solo Seicento, nonché qualche imitatore. Poi la fama scemò e il settecentesco poligrafo abate Ferdinando Galiani, tra i protagonisti dell’illuminismo italiano, lo stroncò senza pietà denunciandone l’insipidità dei racconti e la mostruosità dello stile. Caduto nell’oblio, tornò in auge in epoca romantica come scoperta dei tedeschi fratelli Grimm, tanto che è proprio in tedesco la prima versione integrale a opera di Felix Liebrecht (1846) con prefazione di Jacob Grimm, mentre numerose furono, sia in Germania che in Inghilterra, quelle parziali. E ci resta la curiosità del modo in cui abbiano potuto affrontare un testo così ostico sia Liebrecht che, nel 1893, il grande Richard Burton per la sua integrale in inglese. In Italia, del resto, durante il XIX secolo il novelliere napoletano rischiò un oblio definitivo, mentre le successive traduzioni straniere, invece, hanno potuto avvalersi di quella in lingua italiana, del 1925, di Benedetto Croce, l’autentico scopritore e valorizzatore di Basile, che ebbe il merito di far entrare l’autore e la sua opera nel gota della letteratura nazionale.

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