Pubblicazione freschissima, quella dell’EP d’esordio degli Aftersat, intitolato INTOSOLE e fuori dal 30 Maggio. Musica matura e che già segna la direzione scelta dalla band, congiuntamente ad una magistrale modernizzazione della napoletanità e ad un sapiente richiamo alla misticità del folklore della nostra terra.

Quanta avventatezza nelle mie parole: mi sento a casa, e sono innamorato di questa sensazione.

Lo spessore, la potenza immaginifica dei suoni e della lingua della nostra terra, la carica espressiva delle storie e dei contesti, la magia nell’oscurità di certi versi; ognuno di questi elementi che si lega indissolubilmente alla sporcizia del grunge tetro, l’elettronica distorta e deformante. Voci metalliche per magie oscure, sussurri bassi come ombre.

Gli Aftersat richiamano la magia del nostro folklore, il nostro rapporto spesso così teatrale con il soprannaturale, la napoletanità nei suoni e nei versi, ma immergono tutto nel mare della contemporaneità, delle chitarre sporche, delle ritmiche ballad (in Luntano ‘a te), dall’effettistica usata con criterio.

Tutto in questo EP d’esordio – chiamato INTOSOLE, e composto da tre tracce per circa otto minuti di ascolto – è perfettamente amalgamato per restituire il senso di una musica che non omaggia l’antica tradizione, bensì la richiama per raccontarla oggi, con l’espressività di questi anni, con la voce di questa gente, che pur sempre conosce la lingua di chi venne prima ma che la adopera oggi, nel nostro presente, nel presente di questa terra.

Gli Aftersat hanno richiamato la napoletanità, e l’hanno raccontata, senza mai renderla fine a sé stessa.

Lasciar percepire all’ascoltatore quella sensazione di “racconto popolare” (come capita ad esempio in Solfatara) è un’azione che, secondo mio avviso, non ha per intento l’ammiccare alla narrazione popolare passata, quanto piuttosto ha come obiettivo il ricreare quell’idea di “cantastorie del popolo” in una chiave totalmente contemporanea e che colpisca, ad esempio, il nuovo popolo, e quella componente di giovani che ha il (giusto) bisogno di lasciarsi incantare da motivi, racconti e storie simili.

Con INTOSOLE, dunque, si respira una napoletanità che – permettetemi – è finora stata (salvo le dovute eccezioni, cui pure ci siamo imbattuti su queste pagine) poco attraente per la gioventù, poiché costantemente marchiata da questo costante ed imperterrito (e spesso monocorde) omaggio al passato che sì, deve certamente continuare ad esserci, ma no, non deve essere imperante e non deve costituire l’unica via attraverso cui il sentimento popolare, le nostre storie, i nostri modi, possano esprimersi.

Se è vero che già solo questo traguardo porta ad una valutazione più che positiva di INTOSOLE, l’interessante EP degli Aftersat può comunque essere ulteriormente sviscerato. Difatti, il prodotto della collaborazione tra la band campana e la The Cave Studio (fondamentale, per la creazione del progetto, è la figura di Daniele Grasso) e che si costruisce sui tre brani di cui sopra – Sient’ancora, Solfatara, Luntano ‘a teha ottimi punti a suo favore sia per testi che per musica, ma in particolar modo ciò che ho davvero prediletto sono la ritmica, brillante e incalzante in ognuno dei tre brani, e i testi che oscillano tra quella intensa oscurità e mistica magia cui abbiamo accennato prima e una critica più ragionata nell’ultimo brano (in particolare, nell’ultima strofa dove si esprime con estrema sincerità un concetto, ahimè, assai percepito nella cognizione comune).

Chiudendo il discorso, voglio mettere le mani avanti e dire che sì, ho coscienza che il discorso sia fuoriuscito dai più classici schemi di una recensione, tuttavia, non posso non sottolineare che sono casi come questi a scuotere davvero la percezione dell’ascoltatore, e a far capire che la riuscita di un prodotto può spesso trascendere dalla qualità delle note suonate o dei versi messi in fila. Gli Aftersat, dunque, credo meritino di essere premiati con un ascolto da parte vostra già solo per la maturità che ha contraddistinto il loro primo lavoro. Dal canto mio, faccio volentieri un plauso alla band, che ha creduto in una napoletanità dall’eterna giovinezza.

 

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