Un allestimento curato da Matteo Lorenzelli, l’opera di Liu Ruowang: un branco di cento lupi, aggressivi, imponenti, affamati – fusioni in ferro, ognuna del peso di 280 kg. – minaccia un indifeso guerriero in Piazza Municipio

Piazza Municipio è l’epicentro istituzionale della città, un luogo che dal 14 novembre si trasformerà in una originale galleria a cielo aperto dando ospitalità e scenografica accoglienza alla grandiosa opera di Liu Ruowang. Un branco di cento lupi, aggressivi, imponenti, affamati – fusioni in ferro, ognuna del peso di 280 kg. – minaccia un indifeso guerriero: questa l’allegoria con cui l’artista cinese identifica l’irrevocabile risposta della natura alle devastazioni opera dell’uomo, bollando l’irrefrenabile corso di antropizzazione dell’ambiente.

Progettata e curata da Matteo Lorenzelli, promotore della storica galleria milanese Lorenzelli Arte, con la partecipazione di Milot e sostenuta dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, la mostra, allestita nella piazza fino al 31 marzo 2020, offre una considerazione critica sui valori della civilizzazione e sull’enorme e inquietante incertezza del tempo presente, per contrastare il rischio di progressivo e inconvertibile annichilamento del mondo attuale e della nostra generazione.

Liu Ruowang (1977) è uno dei massimi esponenti dell’arte contemporanea cinese. Scultore e pittore, vanta un itinerario umano e formativo decisamente originale che si basa su un bagaglio socio-culturale ben definito, posto nel solco della tradizione cinese, della quale si rende testimone grazie all’universalità delle sue espressioni artistiche nelle quali ha ben coniugato elementi trasversali con aspetti peculiari della sua tradizione. Partendo dall’assunto che la storia dell’uomo è anche quella del suo relazionarsi alla natura, l’artista cinese permea il suo lavoro, da un lato, nella cultura del lessico e del pensiero del suo paese e, dall’altro, in quella occidentale, tramite echi che rimandano alla liquidità della nostra società globalizzata, con cui diamo vita all’incessante proliferazione d’identità all’interno di dimensioni sia reali che virtuali. Una dimensione filosofica che denuncia i rischi determinati dallo smarrimento dei valori umani, umiliati e avviliti dall’apparato oppressivo, celatamente tirannico, del vivere contemporaneo, un palcoscenico di dolore e violenza, un luogo infestato dalle estorcenti mitologie di massa.

L’allestimento Wolves Coming, già presentata due volte in Italia – nel 2015 alla Biennale di Venezia nel Padiglione di San Marino e, sempre nello stesso anno, a Torino, nella sede dell’Università, rappresentando in ambedue le circostanze una chiara contestazione contro l’indifferenza verso le arti e la cultura – è figlia della produzione dell’ultimo decennio da considerare senz’ombra di dubbio la fase principale della sua maturità artistica. La sua manifesta inclinazione per le grandi dimensioni fa sì che le sue opere rasentino la monumentalità senza però apparire come una presenza ingombrante né ostruire l’intuizione del contesto attiguo. Le forme, merito di un ragionato impatto scenico e di un assiduo dinamismo, vengono percepite come attori di passaggio che popolano lo spazio senza impadronirsene, con un senso ciclico del moto che ripresenta attimi e suggestioni nel continuum temporale. I lavori sono presentati in gruppi – sostiene l’artista – perché la ‘pluralità’ è il tipo di forma e di forza di cui ho bisogno quando sono intento ad esplorare la relazione tra l’essere umano e l’ambiente, anche alla luce del fatto che la Cina è da tempo un paese che porta avanti uno spirito collettivista. Creare i miei lavori in serie o gruppi corrisponde per me a un linguaggio strutturale del mio fare artistico che supera il linguaggio scultoreo.

Non è essenziale padroneggiare la cultura cinese per poter ammirare la sapiente ricerca di Ruowang poiché, sebbene sia legato all’immaginario tradizionale della sua terra, gode di un’energia e di una forza tale da renderlo accessibile a ciascuno di noi. Dietro la monumentalità dell’installazione, inoltre, c’è un particolare che sta a cuore sia all’Oriente quanto all’Occidente, fulcro centrale di tutta la produzione di Liu Ruowang , ovvero la capacità di incanalare l’ambiente e lo spazio attraverso una narrazione semplice e eccelsa, che dispone i toni epici del mito nell’ambito dell’odierna civiltà globalizzata, ove la coscienza artistica fa suoi le problematiche della società contemporanea, retta dal progresso scientifico e tecnologico, sempre più in lotta con l’ordine naturale. Wolves Coming immortala una vera e propria critica nei confronti di un mondo che persegue una e una sola strada, quella che conduce all’autodistruzione. I lupi non sono altro che un grido disperato, un estremo tentativo volto alla salvaguardia ambientale, diretto al futuro, non più roseo, di tutto il nostro pianeta.

Molti sono i lavori di Liu Ruowang consacrati al mondo animale: primati, figure antropomorfe, buffi colombiformi estinti e tante creature fiere e selvagge come quelle  ritratte nelle enormi tele dipinte ad olio. I soggetti dapprima rappresentati come costretti in una posa immota, afoni e ricchi solo di un ‘suono muto’, – rimarca Luca Massimo Barbero – sono in realtà degli agitatori di coscienza, degli inevitabili segnali di allarme, di una transitorietà dell’uomo e del Mondo che li scuote dalla loro immobilità di materia (il clamore del bronzo, il suono del metallo) e ci trasmette la complessità dell’”essere al mondo”.

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