Dalle feconde ceneri di quasi 2000 anni fa riemergono, grazie all’accurata penna di Carlo Avvisati, i protagonisti della vita quotidiana di Pompei e, per accostamento, delle altre città e luoghi sepolti dal violento palesarsi del Vesuvio in un’estate che dovette essere calda almeno quanto quella attuale.

Avvisati, giornalista di mestiere e antropologo/archeologo per piacere e per vocazione, come dimostra il suo carnet di pubblicazioni (romanzi e traduzioni in napoletano di classici che invogliano ad accostarsi al mondo romano che fu), riedita il suo Pompei, Mestieri e botteghe 2000 anni fa, per i tipi di Scienze e Lettere, aggiornandolo alla luce dei nuovi studi e delle recenti scoperte. Sotto la regia di Avvisati sfilano in bella sequenza, introdotti da versi di scrittori latini e citazioni di viaggiatori del Grand Tour, uomini e donne di quell’antica Pompei che la cenere vulcanica mista ai gas infuocati eruttati dal Vesuvio “cristallizzò” in pochi minuti, rendendoli eterni in una sorta di fermo immagine che, studiato attentamente, ci restituisce ancora oggi la rappresentazione di una vita quotidiana chiaramente avvertibile come antenata della nostra. Accade soprattutto nella descrizione dell’esercizio di quelle attività che, fino a qualche anno fa, poco o nulla differivano da mestieri documentati nell’area vesuviana che da Pompei si estende fino a Castellammare da un lato, dall’altro comprende i comuni dominati dal Monte Somma.

La narrazione, pur rivelando un uso scientifico delle fonti archeologiche, documentali e materiali, non è mai pedante, anzi dipana il racconto con uno stile agile e accessibile anche al lettore poco esperto dell’argomento. Ogni mestiere e/o bottega è inquadrato nel luogo in cui si svolgeva l’attività, con scrupolosa acribia attenta a fornire al lettore gli strumenti per riconoscere e incontrare, magari in una visita sul posto, i protagonisti delle pagine, rese ancor più accattivanti dalle illustrazioni riprese da pubblicazioni più o meno recenti, foto di graffiti murali e insegne di bottega, mosaici, reperti  e disegni autografi dell’autore, che fra le tante passioni si cimenta anche in quella di disegnatore di antichità.

Riprendono così vita le matrone, come Numicia Primigenia, acquirente di un lomentum verax (una crema di bellezza molto diffusa), e la immaginiamo anche intenta a “saggiare” le essenze profumate citate dall’autore o ad acconciarsi servendosi gli strumenti riportati a corredo della scrittura.

Oppure ci figuriamo gli intenditori di vino pagare la pregiata bevanda a seconda della capacità del sacculus, accontentandosi di un vinello senza pretese o deliziandosi con quel Falerno che Orazio decanta e che ancora oggi è apprezzato. E poi orefici, tessitori, ma anche usurai, ambulanti produttori e venditori di stoviglie, fino ad un’umanità di cui brulicavano i vicoli e le strade e che, pur attraverso mestieri più o meno umili (facchino,  portantino, prostituto/a, verduraio, panettiere…) sbarcavano il lunario o mettevano insieme ricchezze consistenti, che consentivano loro di avere voce in capitolo, singolarmente o in corporazioni,  nelle imminenti elezioni, o di arredare abitazioni che hanno restituito decorazioni, arredi e oggetti spesso di grande pregio.

Un invito ad una lettura che, scevra di sensazionalismi, accompagna con discrezione a acutezza scientifica alla riscoperta di un patrimonio culturale in cui riconoscere l’anima imprenditoriale vesuviana tramandata nei secoli e la cui essenza ancora vive all’ombra del vulcano. 

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