Il film Porta Capuana di Marcello Sannino da indagine sul sentimento di spaesamento a film caotico, privo di dinamismo, su una realtà multiforme
Il 21 febbraio, ore 20.30, al Cinema Academy Astra è stato proiettato il film di Marcello Sannino ‘PORTA CAPUANA’, preceduto dalla proiezione del cortometraggio del 3° Atelier di Cinema del Reale FILMaP “Racconti del Palavesuvio” di Luca Ciriello e “Il vicino” di Alessandro Freschi.
Prodotto da Antonella Di Nocera per Parallelo 41 Produzioni, il film PORTA CAPUANA è stato presentato alla 36° edizione del Torino Film Festival nella sezione ITALIANA DOC.
La proiezione del film si situa all’interno del ciclo Astradoc- Viaggio nel cinema del reale di Arci Movie (per info FB: Astradoc – Viaggio nel Cinema del Reale; www.arcimovie.it ; info@arcimovie.it)
Tanti sono stati gli articoli, su quotidiani online e cartacei, che riportano le riflessioni del regista circa questo film.
Si parla di incontri fra diversità, di attenzione “all’intreccio di problematiche politiche e affettive”, di modalità tecniche fluide per passare da una dimensione all’altra e per scoprire infine “il modo di stare a Porta Capuana, di stare al mondo’’.
Questo sembra essere, dunque, l’oggetto di studio, l’oggetto di ricerca.
Tra tutte queste parole però, ce n’è una che spicca e che risulta essere la chiave di lettura: la parola ‘spaesamento’ che, a detta di Sannino, rappresenta “la vera dimensione di quella parte di città’’ .
Sul termine spaesamento pesa una lunga tradizione che parte da filosofi come Heidegger e giunge ad antropologi come Ernesto de Martino.
Spaesamento come indeterminatezza, smarrimento, come il “non sentirsi a casa propria”, spaesamento come isolamento e come minaccia costante dell’Essere nel mondo; da qui poi il magismo de martiniano.
Questo concetto, sul piano della teoria, può risultare un’ipotesi assolutamente appropriata alla realtà multiforme di Porta Capuana.
Dal piano teorico però, bisognerà, per forza di cose, calarsi nella realtà, con strumenti di indagine che possano risultare validi.
Dal mio punto di vista, questo è quello che è avvenuto nella costruzione di questo film: ottimo oggetto di ricerca senza essere indagato; ottime ipotesi senza essere verificate.
Il senso di spaesamento è risultato, più che dai contenuti in sé, dalla struttura del film, dalle riprese molto mosse e da un ‘fluire’ di immagini decontestualizzate, prive di qualsiasi didascalia o voce fuori campo (ad eccezione di un focus su Castel Capuano e sull’associazione Arditi d’Italia).
Il film risultava essere una sequenza lunghissima di riprese delle situazioni più disparate: da momenti di festa a benedizioni di animali domestici fino ad un conflitto amoroso tra due passanti (scena continuamente interrotta dal passaggio di automobili e autobus, risultato di una ripresa avvenuta da lontano).
Come in un oceano dalle forti correnti, non studiarne le direzioni né i venti ma semplicemente filmare alcune onde.
Il film è risultato una descrizione fatta da un turist : andare in una città sconosciuta e riprenderne gli avvenimenti più strambi, divertenti, drammatici o semplicemente le attività quotidiane (indossando sempre le lenti dell’etnocentrismo). Infine unire tutto in uno stesso contenitore e chiamarlo FILM piuttosto che ricordi di una vacanza.
Mi rendo conto che l’obiettivo può non essere un’indagine approfondita ma piuttosto una descrizione di ciò che si osserva, ma che questa descrizione sia sistematica, che queste scene di vita abbiano un nome.
Per un individuo di cultura napoletana fare un falò per strada può essere simbolo di festeggiamenti ma, probabilmente, per un individuo di un’altra cultura questo può rappresentare semplicemente l’appiccare un fuoco.
In questo caso le immagini, senza essere supportate dalla parola, non esprimono il valore simbolico dell’avvenimento ripreso.
È qui che la comunicazione fallisce e l’incontro non avviene.