A 220 anni dalla proclamazione della Repubblica napoletana, è doveroso soffermarci sugli eventi, ripercorrendoli e cercando di capire quanto accadde in quei mesi incandescenti che cambiarono inevitabilmente la storia di Napoli e della Campania, del Sud Italia e dell’intera penisola

La repubblica napoletana del 1799, nonostante la brevità della sua drammatica vicenda, fu un momento fondamentale non solo della storia meridionale ma nella elaborazione della tradizione democratica italiana. (Anna Maria Rao)

Corre il 1799: i più illuminati personaggi della storia partenopea, sacrificando la loro stessa vita per un ideale di libertà, con il chimerico fine di fondare uno Stato sui principi di ragione e giustizia, decisero di gettarsi in una celebre impresa rivoluzionaria, mentre cospicua parte della popolazione assisteva ignara e impaurita al susseguirsi degli eventi.

Nel 1789, come noto, un evento aveva definitivamente invertito la rotta della storia europea e occidentale, in Francia era scoppiata la Grande Rivoluzione: la corte di Napoli si destò di colpo da un sogno e sonno durato sin troppo, di colpo fu dissolta l’idillica atmosfera scandita dal ritmo delle feste e dal piacere del gusto per gli esperimenti all’avanguardia degli anni di Ferdinando IV di Borbone. Il clima era di stupita costernazione, proprio come in tutte le corti europee. Le notizie che giunsero da Parigi, oltre per inorridire per la brutalità della repressione alla quale fu sottoposta l’aristocrazia, misero sulla graticola tutti i valori etici e spirituali che contraddistinsero per secoli la storia occidentale, era il tramonto dell’ancien regime.

Una terribile minaccia per tutti i sovrani europei. Ferdinando, monarca bonario e tradizionalista, non ebbe la stoffa né del padre né tantomeno quella del comandante: la sua politica oscillò costantemente tra il proibito e impossibile desiderio di compromesso e la volontà ferrea di non privarsi neanche di uno dei suoi preziosissimi diritti. Del resto non fu in grado né di accettare i consigli dei controrivoluzionari irriducibili, né di predisporre una vigilanza idonea contro probabili e prevedibili sommosse rivoluzionarie.
Le congiure , come previsto, cominciarono presto. A bordo di navi francesi ancorate presso la baia di Napoli, il giacobino Latouche consegnò le prime direttive per la realizzazione di società segrete.

Gli anni della Rivoluzione Francese, quindi, furono piuttosto complessi per il regno ferdinandeo.

1790: Incrinatura dei rapporti tra classe dirigente e monarchia: come schierarsi? Favorire un compromesso con il fronte rivoluzionario o schierarsi categoricamente contro?
1792: Alla ghigliottina ecco Luigi XVI, re di Francia, e Maria Antonietta, sua consorte: è terrore tra i sovrani europei, un punto di non ritorno, scoppia la reazione che si dipana in chiusura e sospetto; la Rivoluzione è minaccia intollerabile al sistema dei diritti in vigore.
1794/1797: cospirazioni e processi, giustiziati De Deo, Vitaliani, Galiani, da immaginare come una sorta di protomartiri del Risorgimento.
1798: Alleanze militari tra potenze europee antifrancesi e antirivoluzionarie.

Come fu percepita la Rivoluzione in Italia?

Le idee della Rivoluzione erano penetrate anche negli Stati italiani. Nelle capitali e nelle maggiori città si vennero a formare cenacoli democratici in clandestinità. Su chiunque simpatizzasse per la Francia rivoluzionaria cadde, ancora nel 1796-1799, l’accusa rivolta dalle autorità statali e religiose di giacobino, un termine che evocava il terrore robespierrista del biennio 1793-1794: era in corso una strategia di demonizzazione della Rivoluzione mossa dai governi e dalla Chiesa. In realtà, i democratici italiani preferirono il termine di patrioti. Tra 1794 e 1797 diverse furono e città italiane (Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli, Palermo) in cui a centinaia furono gli arresti e numerosi i processi volti a smantellare la rete clandestina di club e società patriottiche. Cospirazioni, processi, esili e pene capitali: questo il caotico dipinto di quei ferventi anni.

I fatti. Innanzitutto ci sarà utile chiarire brevemente quello che accadde un anno prima all’interno dello Stato Pontificio, quindi, non molto distante da Napoli. A Roma, in circostanze sospette, nel mezzo di uno scontro tra militari pontifici e patrioti romani fu mortalmente ferito il giovane generale francese Léonard Duphot (28 dicembre 1797), il quale vantava la stima personale di Napoleone. Nonostante i tentativi diplomatici della Santa Sede di evitare sgradite reazioni e le scuse al governo francese per l’accaduto, il Direttorio e Bonaparte colsero l’occasione, il casus belli fu servito. Nel gennaio seguente Alexander Berthier marciò con le sue truppe sulla città del papa. La Repubblica Romana fu proclamata in maniera solenne sul colle del Campidoglio, nella imponente scenografia della piazza michelangiolesca, il 15 febbraio 1798 con un atto del popolo sovrano.  Pio VI fu arrestato e condotto in esilio, la rivoluzione era a un passo.
La Repubblica capitolerà alla fine del settembre del 1799, prima però, tra novembre e dicembre del 1798, vi fu una breve parentesi nella vicenda repubblicana romana che ebbe conseguenze notevoli per il confinante Regno di Napoli. Ferdinando IV, avvalendosi di un momento di crisi della Francia sul piano militare, invase il territorio della Repubblica, giungendo ad occupare la stessa Roma, il governo francese, intanto, riparava a Perugia.

Ferdinando, atteggiandosi a difensore della fede, contava di avere vantaggi da questo suo non disinteressato intervento. Ma i francesi tornarono presto all’offensiva, obbligandolo a una precipitosa fuga durante la quale l’esercito borbonico si sfaldò completamente. Persa Roma, Ferdinando si ritrovò con il suo stesso Regno invaso dal nemico. (Massimo Cattaneo)

Una volta a Napoli, il re prese una decisione inspiegabile: lasciare la città al suo destino e salpare a bordo di una nave inglese per riparare in Sicilia. Prima della partenza affidò il governo nelle mani del vicario Francesco Pignatelli. Il controllo di Napoli fu così conteso da tre diverse forze, ovvero la nobiltà, i patrioti e il popolo. I primi a farsi avanti, delusi dal comportamento del sovrano e piuttosto ostili a giacobini napoletani e francesi, furono i lazzari, la parte più misera della popolazione: armi alla mano arrivarono a controllare militarmente la città, compiendo saccheggi e omicidi e costringendo Pignatelli alla fuga. Nel gennaio 1799 i patrioti presero possesso della strategica posizione di Castel Sant’Elmo, il forte dotato di artiglieria da cui si dominava tutta Napoli. L’attacco dei francesi, sebbene la strenua resistenza dei lazzaroni, piegò le forze nemiche permettendo alle truppe del generale Jean-Étienne Championnet di far sua la città, era il 23 gennaio 1799, il giorno seguente sarebbe stata proclamata ufficialmente la Repubblica Napoletana. Innanzi il Palazzo Reale ecco poi fare la sua comparsa in bella mostra il simbolo per antonomasia della Rivoluzione, l’albero della libertà.

Festa repubblicana per eccellenza era quella dell’albero della libertà … Dopo quello piantato in Castel San’Elmo al momento della proclamazione della Repubblica, il primo albero della libertà fu solennemente piantato il 29 gennaio al largo del Palazzo Nazionale, con la partecipazione di tutte le autorità civili, militari e religiose. Albero vivo, perché la libertà potesse piantare le radici, era sormontato dal berretto frigio, simbolo della liberazione, e parato di fasce tricolori e della bandiera nazionale. (Anna Maria Rao)

Una riflessione. La Repubblica napoletana del 1799, frutto dell’influenza della Rivoluzione francese e della campagna italica del giovane generale Napoleone Bonaparte, fu un crocevia unico nella storia del Mezzogiorno ma anche nella formazione dell’idea democratica italiana. Sebbene la sua breve durata, meno di sei mesi, gli eventi rivoluzionari accesero i riflettori sugli aspetti di fondo della capitale del Regno: l’arretratezza delle campagne, il paternalismo e l’incapacità di rinnovamento del potere monarchico, il ruolo antirivoluzionario di un clero che, nella figura del cardinale Ruffo, fu alla guida delle spietate bande sanfediste, l’isolamento della élite giacobina dalle masse contadine e dalla maggior parte del popolo cittadino. Un bricolage di fattori che condusse al fallimento dell’esperimento repubblicano, col tragico martirio sul finale del fior fiore dell’intellettualità napoletana: Mario Pagano, Domenico Cirillo, Eleonora Pimentel Fonseca, Francesco Caracciolo e tanti altri. Da una parte i patrioti e dall’altra il popolo, fronti contrapposti all’inizio del periodo repubblicano e nuovamente, in seguito ad una complessa convivenza, alla caduta della Repubblica. Per tutti, però, valse a dire, in prima istanza, dover apprendere cosa fosse e significasse la democrazia, e come fare a praticarla.

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