Il cardinale Ruffo, chi fu realmente? Un eroe temerario e audace o un vile e criminale traditore? Percorriamo le tappe e gli incontri decisivi del suo cursus honorum
Il cardinale Fabrizio Dionigi Ruffo di Bagnara, ovvero uno dei personaggi più controversi e discussi di quei fatidici giorni che 220 anni fa sconvolsero per sempre la nostra storia.
Appartenne a una secondaria linea di parentela della casa dei Ruffo di Calabria, i duchi di Baranello e Sant’Antimo, divenuti, alla scomparsa del principale ramo da cui provenivano, alla fine del XVIII secolo, duchi di Bagnara.
Una figura che con le sue imprese e le sue scelte ha posto opinioni e giudizi di storici e addetti ai lavori pressoché a un bivio: eroe e valoroso paladino del re e della Chiesa o sanguinario reazionario e traditore della patria? Devoto e autentico condottiero seguace dei reali o capo di spietate e crudeli bande brigantesche?
- I contro: Vincenzo Cuoco, Carlo Botta, Pietro Colletta, contemporanei e protagonisti dei fatti narrati, appartenenti alla fazione repubblicana;
- I pro: Benedetto Croce, Raffaele Palumbo, Benedetto Maresca, fautori di una revisione del giudizio sul cardinale e di una possibile riabilitazione dell’immagina sulla base delle loro ricerche storiografiche e documentali.
Chi fu realmente il cardinale? Un eroe temerario e audace o un vile e criminale traditore?
Nacque nel castello di San Lucido, feudo della sua casata, il 16 settembre del 1744, figlio del duca Letterio e di sua moglie Giovanna Colonna, principessa di Spinoso, marchesa di Guardia Perticara e signora di Accetturo e Gorgoglione. All’età di quattro anni, venne portato a Roma presso la casa del prozio cardinale Tommaso Ruffo, in quel momento decano del Sacro Collegio, che scelse di farlo educare dal prelato Giovanni Angelo Braschi. Studiò nel celebre collegio dei Somaschi, muovendosi tra filosofia, scienze fisiche ed economia pubblica, eppure Colletta, nella sua Storia del Reame di Napoli ne scrisse, magari a ragione, in questi termini:
… scaltro pere natura, ignorante di scienze o lettere, scostumato in gioventù, lascivo in vecchiezza, povero di casa, dissipatore, prese ne’ suoi verdi anni il ricco e facile cammino delle prelature …
Il suo destino ebbe una inattesa quanto fortunata svolta allorché il suo precettore Braschi nel 1775 salì al soglio pontificio con il nome di Pio VI. Nel 1785 il primo incarico: nominato tesoriere generale della Reverenda Camera Apostolica ebbe l’oneroso compito di riformare le sconquassate finanze vaticane. Combattere il nepotismo dispotico potenziando e rendendo economicamente attiva l’agricoltura in tutto lo Stato della Chiesa, eliminare di fatto gli illeciti feudali: diverse furono le leggi emanate dal Ruffo, le stesse che lo resero inaspettato alleato di contadini e paradossale nemico di nobiltà feudale e grandi proprietari terrieri. Un’ avversità che accrebbe alla proposta di ulteriori innovazioni: l’abbattimento delle barriere doganali interne, la protezione delle manifatture dei sudditi, l’intensificazione della coltivazione della canapa e del cotone, lo sviluppo di una marina mercantile, l’abolizione dei vincoli produttivistici, la concessione di terreni demaniali in enfìteusi a contadini indigenti e l’attenuazione dell’egemonia dei cardinali (Giovanni Liccardo). Sebbene le illuminanti intenzioni e le visionarie riforme, per lui le cose si misero male poiché le finanze dello Stato pontificio peggiorarono, Ruffo era indifendibile, in breve giunse il licenziamento. Dapprima, nel 1791, fu eletto cardinale “in pectore” poi, non avendo ricevuto i voti sacerdotali, fu aggregato, nel febbraio 1794, all’ordine dei diaconi. Ancora una volta le parole di Colletta paiono pregnanti:
Piacque al pontefice Pio VI, dal quale ebbe impiego supremo nella Camera pontificia; ma, per troppi e subiti guadagni perduto ufficio e favore, tornò dovizioso in patria, lasciando in Roma potenti amici, acquistati, come in città corrotta, coi doni e i blandimenti della fortuna.
Siamo a un nodo cruciale dell’esistenza del cardinale: fu allora che il re di Napoli Ferdinando IV di Borbone, venuto a conoscenza della disponibilità del Ruffo ormai libero da incarichi presso la corte papale, lo sollecitò affinché si trasferisse a Napoli, offrendogli l’Intendenza di Caserta e la ricca abbazia di Santa Sofia di Benevento, proclamata di regio patronato e a tal ragione contestata proprio dalla Santa Sede. Ottenuto il consenso di Pio VI, il cardinale si trasferì a Caserta per dedicarsi all’incremento del livello produttivo delle fabbriche e delle manifatture della colonia di San Leucio.
Intanto dalla Francia aveva inizio l’esportazione della Rivoluzione e in breve tempo, attraversando l’intera penisola, le idee (e poi le armi) giacobine giunsero anche a Napoli, la criticità della situazione costrinse la famiglia reale a fuggire nel 1798 a Palermo. A Napoli nel gennaio 1799 venne proclamata la Repubblica. Una drammatica congiuntura di eventi che volle come uno dei protagonisti proprio Fabrizio Ruffo, incaricato di riconquistare il Regno in veste di vicario generale, era il sovrano in persona a sollecitarlo.
Leggi i nostri articoli sulla Repubblica napoletana:
– Gennaio-Giugno 1799, i sei mesi della Repubblica napoletana
– La Repubblica napoletana del 1799: conquista o liberazione?
Alla fine del ’98 la riapertura delle ostilità contro la Francia da parte delle potenze (alleatesi dopo la spedizione in Egitto di Napoleone) indusse il Regno di Napoli ad attaccare la Repubblica romana. Dopo qualche iniziale successo, le truppe borboniche furono respinte e Napoli fu occupata dal generale Championnet, che qualche giorno dopo vi proclamò la Repubblica partenopea (gennaio 1799). (R. Ago, V. Vidotto)