Pop-Rock, energia mista a talento, e una vaga, vaghissima rimembranza dei primi anni 2000.

Avete presente quando, nel bel mezzo dei vuoti pomeriggi estivi, vi piombano in testa strani ricordi e non potete far altro che dire: ”sai che c’è? Il videoclip di Savin’Me dei Nickelback è una delle cose più geniali dell’ultimo ventennio.”? Ecco, quando ho ascoltato Building Cranes, degli X-35, sono stato folgorato da una magnifica illuminazione: mi manca il rock che passavano in radio durante il quinquennio felice (2000 – 2005).

È stato incredibile, per me, scoprire che non solo c’era qualcuno che ancora aveva ben chiara l’influenza musicale di quegli anni, ma che poteva ricostruirla magistralmente con un sound ispiratissimo. Il tutto qui, in Campania, a casa nostra.

Freniamo gli entusiasmi e facciamo il punto della situazione: Building Cranes è un EP, dalla durata di 20 minuti, composto da 6 brani. Il genere è quello del Pop-Rock, con forti dosi di Alternative. La produzione, oltre ad essere qualitativamente elevata (e sì, parlo proprio a livello della qualità del suono in fase di registrazione, che sin dalle prime battute fa capire il livello generale del lavoro svolto…), richiama – forse volutamente, o forse in modo esclusivamente indiretto – i Top in classifica di quel quinquennio citato in precedenza (ci aggiungerei anche il 2006, perchè tutti noi vogliamo un gran bene agli Evanescence, che in quell’anno pubblicavano il mastodontico singolo Call Me When You’re Sober), e questo, fidatevi di chi vi scrive, è un valore aggiunto non indifferente.

Non saprei davvero spiegare come ciò possa garantire ulteriore valore al tutto, ma quando penso a quest’album, inevitabilmente scatta l’idea di uno stile che tocca note, e influenze, che l’ascoltatore medio farebbe fatica a ritrovare in produzioni più o meno recenti ( parliamo infatti di un sound che è lontano da noi quasi di un decennio abbondante…).

Insomma, Building Cranes trova la sua peculiarità nell’essere attento alle vecchie schitarrate ed alle percussioni energiche, e unisce ciò ad una forte unicità dei suoi pezzi, e in generale ad una freschezza notevole che permea tutta la produzione. L’album si presta ad accompagnarvi mentre scorrazzate in auto coi finestrini rigorosamente abbassati, così come trova ragion d’essere ogni qual volta vogliate un sottofondo adatto alle più disparate attività che l’estate si porta dietro.

Colgo poi l’occasione per condividere con voi una chicca: sono abbastanza sicuro che la voce di Stefano Granato, cantante del gruppo, ricordi veramente tantissimo quella di Doug Robb, lead singer degli Hoobastank (forse solo più alta di qualche tono).

Detto ciò, concludo consigliandovi caldamente di recuperare questi brani interessanti, ma soprattutto di far mente locale su tutta quella bella musica che ingenuamente avevamo dimenticato, ma che custodisce una serie di ricordi importanti per ognuno di noi.

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