Architettare bugie, penderle per buone, tendenze a dir poco umane. Quando poi le frottole, o per meglio intenderci, la nostra Storia appezzottata si diffonde e si sedimenta nelle coscienze, si finisce per credergli davvero, senza alcun diritto di replica. Per tale ragione la Storia è spesso dilaniata dalle fake news

Battute infelici, beffe ben riuscite, burle, calunnie, gocce di veleno, inesattezze, notizie infondate, sviste della Madonna, chi più ne ha più ne metta. Il fenomeno delle fake news non è di sicuro trovata recente, le notizie false hanno sempre animato le acque torpide della Storia, e più sono assurde più si tende a darle credito. Ebbene sì, potremmo dire proprio così “Chisto è pezzotto .

Le notizie false della storia nascono certamente spesso da osservazioni individuali inesatte o da testimonianze imperfette, ma questo infortunio iniziale non è tutto e in realtà in se stesso non spiega nulla. L’errore si propaga, si amplifica e vive solo a una condizione: trovare nella società in cui si diffonde un brodo di cultura favorevole. In quell’errore, gli uomini esprimono inconsciamente i propri pregiudizi, odi e timori, cioè tutte le loro forti emozioni. Soltanto […] dei grandi stati d’animo collettivi hanno poi la capacità di trasformare una cattiva percezione in una leggenda. (Marc Bloch)

Architettare bugie, penderle per buone, tendenze a dir poco umane. Quando poi le frottole, o per meglio intenderci, la nostra Storia appezzottata si diffonde e si sedimenta nelle coscienze, si finisce per credergli davvero, senza alcun diritto di replica. Per tale ragione la Storia è spesso dilaniata dal falso, poco importa se si stia parlando di menzogne messe in giro per screditare qualcuno o qualcosa o di ingenue credenze popolari, di eventi negati contro ogni logica o di diaboliche “messe in scena”.

Altra prelibatezza, le bufale, “prodotti caseari” che fanno riferimento ad eventi inesistenti, messi a punto di sana pianta, a differenza delle cugine fake news che vantano genesi piuttosto complessa chiamando in causa i cosiddetti media. Questi, oltre a essere i maggiori diffusori di bufale, alimentano una buona dose di informazioni che possono presentare vari livelli di “adulterazione”, e cioè, eventi o notizie narrati con prospettive distorte, magari manipolate con intenti politici. Una contraffazione messa in atto anche grazie al modo in cui viene propriamente presentata, enfatizzandone ad esempio il carattere spettacolare e il clamore a scapito di un’analisi critica.

Le fake news sono piuttosto inclini a nutrirsi e legittimarsi tra loro dando l’impressione apparente che dietro vi sia posto un fondamento di verità, divenendo così più difficili da smascherare. A muoverle, oggi come oggi, potremmo individuare almeno tre motori: quello economico, i click sui vari social generano ricchezza per gli inserzionisti pubblicitari, per le testate; quello politico, torti tra avversari, tra aziende, che non hanno problemi a screditarsi tra loro a mo di artefatte, provocando danni sia reputazionali che economici degli stessi; quello sociale, ambienti rabbiosi, psicologicamente predisposti, in cerca di un capro espiatorio sul quale scaricare la propria sofferenza. 

Rispolverare la vecchia calzamaglia da storico a questo punto potrebbe essere un buon punto di partenza, la più opportuna delle terapie. Via al debunking.
Il problema della distinzione tra autentico e appezzottato ha origine in tempi antichi. Il tutto sta nella capacità degli storici di svolgere corrette indagini sulle fonti, sviscerando, organizzando e dando consequenzialità logica ai dati a disposizione. In epoca moderna ecco una svolta significativa: il sorgere dei mezzi di comunicazione di massa fa sì che la circolazione delle informazioni divenga più determinante nel condizionare idee e comportamenti collettivi. La propaganda si avvia così a contribuire sempre più agli esiti dei conflitti politici e bellici. Siamo in quelli che Marc Bloch (ne La guerra e le false notizie) ha definito conflitti di parole.

Le bouc émissaire. Dai conflitti di parole di Bloch alla teoria del capro espiatorio di René Girard è un passo. La fake news convogliano paure collettive su specifici soggetti. L’antropologo francese evidenzia come le relazioni tra gli esseri umani siano tendenzialmente conflittuali e proiettati alla conquista di posizioni di prestigio. Uno scenario reiterante, un’epoca dopo l’altra: è molto frequente, quindi, che un gruppo di potere possa indicare arbitrariamente un terzo soggetto (o un insieme di soggetti) come responsabile di un conflitto sociale, diramando fake news che lo infamino a dovere, si pensi alla caccia alla streghe e alla persecuzione di diverse minoranze etniche.

Ma nella Storia qual è stato il confine tra misinformazione e disinformazione? Non sempre riusciamo a distinguere tra casualità e intenzionalità, e, alle volte, una “misinformazione” nata senza precise finalità, frutto di un banale errore di interpretazione, potrebbe essere sfruttata ad hoc da un potere pubblico o privato, trasformandosi in tal modo in disinformazione.

Occhio al complottismo. L’estremizzazione insita in queste teorie impedisce un’analisi lucida della realtà, denunciando ogni evento ufficiale come demistificazione dei poteri forti. Si casca così nel fideismo, credere in qualcosa partendo dal dogma che tutto ciò che viene affermato dalle autorità sia infondato. Una buona strada per dar coerenza e credito a ogni genere di menzogna e falsità. E da qui terrapiattisti, negazionisti, si stava meglio quando di stava peggio, nostalgici, come funghi.

Se le fake news si mostrano in sostanza verosimili, le “negazioni” di realtà assodate si rivelano in tutta la loro fantasia delirante, ed è qui che si cela la loro dirompente forza. Tali teorie sospettano di ogni versione ufficiale dei fatti. Il male assoluto. Il web, innegabile e incredibile strumento amplificatore di bufale e leggende metropolitane, contenitore enorme di una spropositata miriade di particelle che si muovono in modo anarchico, tende a fare e disfare la Storia, riportando diverse e intercambiabili versioni dei fatti, senza necessità e obblighi di verifica.

Va distinta la capacità di riformulare un giudizio storico in base all’acquisizione di nuove fonti e informazioni, attività indispensabile per ogni storico, dal revisionismo come “costume mentale”, finalizzato a un uso strumentale della Storia. In tal caso non si ha più un metodo d’indagine storica, bensì un atteggiamento che cerca di piegare le interpretazioni e il giudizio comune ai benefici di una certa parte politica. (Claudio Vercelli)

Utilizzare le fonti come attrezzi e il confronto come metodo, ricordando la lezione di Salvemini di essere, sebbene non imparziali, onesti intellettualmente mettendo in guardia i nostri lettori.

Ora un esempio. Proprio nel Regno di Napoli un primo processo, per così dire, storico, di debunking.

In hoc signo vinces. Per quasi un millennio la Donazione di Costantino fu la giustificazione del potere temporale dei papi. Un documento falso, ben congegnato, fondato su di un fatto innegabile: Costantino fu il primo imperatore a favorire apertamente la religione cristiana, elargendo molte concessioni e concedendo molti privilegi alla Chiesa. Un documento che prende forma in un momento in cui effettivamente il potere imperiale perde valore in Occidente, mentre emerge nitido il ruolo del papato, è l’VIII secolo. Stando agli studi degli storici la Donazione non fu redatta in epoca costantiniana bensì quattro secoli più tardi, quando il papato, in aperto conflitto con i Longobardi nella penisola italica, si stava affrancando sempre più dell’alleanza con i bizantini, pronto a stringere alleanza con i Franchi. Questo il contesto in cui fu stilato il documento. Di autore anonimo, unica certezza che si vanta sulle origini del presunto lascito costantiniano è che il più antico manoscritto della Donazione giunto fino a noi venne trascritto a Saint-Denis, abbazia presso Parigi, agli inizi del IX secolo.


L’attacco definitivo sferrato al presunto testo costantiniano arrivò solo nel XV secolo, allorché l’egemonia papale era già sul viale del tramonto di fronte all’avvento delle monarchie nazionali. A seguito di uno studio molto approfondito dei testi antichi, l’accademico  e umanista Lorenzo Valla (1407-1457), durante gli anni del suo periodo napoletano (1435-1447) sottopose la Donazione a una vera e propria radiografia filologica. L’esito fu un opuscolo al vetriolo in cui il documento venne mostrato nella sua vera natura: un falso scritto con un latino non propriamente dell’epoca di Costantino, con sviste lampanti, come la citazione di Costantinopoli, non ancora fondata nel momento della fittizia redazione dell’atto. Il filologo prestava servizio presso la corte di Alfonso V di Aragona, in lotta con il papa per il controllo del Regno di Napoli e il libello fu tra i motivi di scontro.  Il resto lo fece l’invenzione della stampa, il testo di Valla ebbe una spropositata diffusione, arrivando anche nelle mani di Lutero e alimentando così la già viva polemica antipapale.

La Donazione ebbe una fortuna straordinaria perché poteva risultare utile a tutti, a seconda dei momenti storici e degli obiettivi. In poche parole, uno strumento di potere. (Giovanni Maria Vian, La Donazione di Costantino)

Lorenzo Valla, insomma, un vero debunker ante litteram.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *