Gianluca Capozzi in mostra a San Martino Valle Caudina negli spazi del Villino Del Balzo con Tomorrowland. Dal 15 al 30 giugno

Tomorrow land è il titolo della mostra personale di Gianluca Capozzi, curata da Antonello Tolve, per il Comune e la Pro loco di San Martino Valle Caudina, negli spazi del Villino Del Balzo.

Segue un’amplificazione culturale dei piccoli ed importanti centri, concentrandosi sulle tradizioni ed il contemporaneo in una importante espressione del territorio irpino. L’incanto della materia lontana. Guardando attentamente queste nuove composizioni di Gianluca Capozzi, tutte datate 2019 e tutte di grandezza sostenuta (tranne People, unico lavoro al quale l’artista attribuisce un titolo), si ha come l’impressione di ritrovarsi accanto a un pittore la cui capacità è quella di cogliere dal mondo della vita tutta una serie di sollecitazioni puntualmente registrate, catalogate, archiviate e infine reificate o ratificate con un bildhafte Denken sedotto dalla folla e dai suoi pericoli, dall’inaspettato e dall’ignoto.

Incontri quotidiani in una caffetteria qualunque, vetrine infrante dalla forza di un colore che si fa mascherina, ritratti appena abbozzati, richiami a motivi floreali, voyeurismi, attese e masse silenziose si muovono nella sua pittura per disegnare un itinerario visivo dove si perde la traccia di ogni personalità e le figure sembrano esseri solitari che hanno smarrito non solo il loro nome anagrafico ma anche quello che il tempo accarezza e fa inevitabilmente cambiare: le loro facce.

Quasi a voler stringere al filo sottile della pittura quello tagliente dell’intima riflessione su un mondo contemporaneo inghiottito nell’oceano del selfismo e della socialfagia, Capozzi raffigura immagini che sfigurano, che si perdono in una moltitudine stridente alla ricerca di una cittadinanza pittorica, quantomeno pittorica, in cui ritrovarsi felici e feriti.
Le persone che popolano i sui recenti Untitled non sono più infatti quelle che possiamo incontrare tra i racconti de la vie moderne di Baudelaire o di Edgar Allan Poe (mi riferisco, in particolare, a The Man of the Crowd del 1840), piuttosto trasposizioni e trascrizioni di stati d’animo (tempo fa parlavo di «un vero e proprio trattato delle passioni» umane), lacerti di vita dove si avverte l’instancabile desiderio di esistere e di resistere a una quotidianità lasciva, riportata dall’artista con una eccellente maturità linguistica: con colori rumorosi che si rincorrono l’un l’altro e che si sovrappongono, si mescolano, si amalgamano per creare atmosfere fluide e sfuggenti, baleni di vita vissuta e congelata, piacevoli e erotici blackout.

Accanto a questo primo itinerario più strettamente e seducentemente
figurativo, c’è, nel percorso offerto dall’artista, anche un ventaglio di opere dove la pittura è pura gestualità, veloce tessitura di un mondo interiore in cui scompare ogni appiglio alla realtà e quello che realmente si percepisce è una caduta inconscia, un vivo sentimento della materia e del colore, della tela e del telaio, della memoria e di una corsa frenata sulla realtà.


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